Ci sono voluti 35 anni di messa al bando per il “Grande Satana” Iran, 9 anni di pesanti sanzioni inflitte nel 2006 dal Consiglio di Sicurezza ONU, 12 anni di tentativi negoziali e 9 giorni di confronti accaniti tra le diplomazie al tavolo di Losanna per approdare a un accordo di principio sul contrasto alla corsa iraniana verso il nucleare di una possibile bomba atomica. In cambio, la progressiva eliminazione delle sanzioni che stavano mettendo pericolosamente in ginocchio un intero popolo, castigato dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’accordo del 1995 con la Russia per la costruzione di una centrale nucleare e la rivelazione di un programma nucleare per l’arricchimento dell’uranio nel 2002.
Sullo sfondo due scenari da incubo: quello della proliferazione nucleare nel mondo e, nell’immediato, l’incendio che sta divampando nell’area mediorientale con la progressione del cosiddetto “Stato islamico”, le incursioni del terrorismo jihadista e gli scontri tra sunniti e sciiti nella regione, come nel caso dello Yemen.
Dello scenario apocalittico dei rischi indotti dalla proliferazione nucleare poco, troppo poco, si parla. Ne aveva parlato in uno dei suoi primi discorsi, quello di Praga nel 2009, Barack Obama quando affermò che “Come unica potenza ad aver usato la bomba atomica, gli Stati Uniti hanno la responsabilità di agire. Per questo oggi annuncio con chiarezza e convinzione l’impegno dell’America a perseguire la pace e la sicurezza in un mondo senza armi atomiche”. Un annuncio che contribuì a un riconoscimento prematuro, quello del Nobel per la pace che, adesso a fine mandato, il Presidente USA cerca disperatamente di meritare, perché purtroppo da allora non si è fatta molta strada e gli arsenali atomici contano nel mondo migliaia di testate e c’è chi lavora o ad ammodernarle o ad aumentarle, come la Russia che sta usando un terzo del suo bilancio militare per incrementare la potenza nucleare. Non è la sola: gli USA hanno stanziato per i prossimi dieci anni circa 350 miliardi di dollari per modernizzare il proprio armamento nucleare, investimenti importanti in materia sta facendo la Cina e programmi analoghi hanno il Regno Unito e la Francia.
Può quindi stupire che al tavolo di Losanna, a contrastare una possibile bomba atomica iraniana, ci fossero cinque potenze nucleari, membri del Consiglio di Sicurezza ONU (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia), con l’aggiunta della Germania, potenza economica e commerciale e che, ad opporsi strenuamente da fuori all’accordo, un’altra “potenza” nucleare come Israele e un’altra che ci sta pensando, come l’Arabia Saudita, magari con l’aiuto dell’amico Pakistan, altro Paese dotato dell’arma nucleare.
L’accordo provvisorio di Losanna, nell’attesa di un protocollo formale il prossimo 30 giugno, è ancora fragile. Saranno in molti a opporvisi: i repubblicani negli USA, Israele e i suoi amici nel mondo, compresi quelli nell’area islamica sunnita, Egitto compreso e molti altri e, in Iran, l’ala dura degli ayatollah.
E l’Unione Europea? Sono stati tre suoi membri, il gruppo degli EU3 (Regno Unito, Francia e Germania) ad avviare un dialogo con poche prospettive di riuscita senza gli altri tre Paesi del Consiglio di Sicurezza (USA, Russia e Cina) il gruppo dei 5+1, senza l’Italia, che nel 2004 con Berlusconi declinò l’invito ad entrare per non irritare gli USA.
In quanto tale l’Unione Europea, benché priva di competenze in materia di politica estera e di sicurezza, ha fatto del suo meglio per accompagnare i negoziati al cui tavolo è stata ammessa. Non è senza significato che l’annuncio ufficiale della provvisoria intesa sia stata data congiuntamente dal Ministro degli esteri iraniano e da Federica Mogherini, Alto Rappresentante UE per la politica estera e della sicurezza. Qualcuno ha liquidato l’episodio come una “passerella”, se non addirittura un gesto di cortesia verso l’unica signora al tavolo dei negoziati. Probabilmente è qualcosa di più, un riconoscimento per l’UE e la sua Rappresentante: speriamo sia di buon auspicio per il mondo e per l’Unione Europea, impegnata anch’essa a meritare il suo Nobel per la pace.