Il voto dell’India e la democrazia in pericolo

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Si sono concluse in India il primo giugno, dopo sei settimane, le elezioni per la Camera Bassa del Parlamento. Con 979 milioni di elettori chiamati alle urne, sono state le elezioni più imponenti e più lunghe di un processo democratico mai conosciuto finora.

I risultati della consultazione non hanno lasciato spazio a grandi sorprese: il partito del Primo Ministro Narendra Modi (Bjp – Bharatiya Janata Party – Partito del popolo indiano),  partito induista e nazionalista collocato nell’Alleanza nazionale democratica (Nda), al potere da più di dieci anni, riconferma la sua vittoria e quella dello stesso Primo Ministro per un terzo mandato. Una vittoria tuttavia fragile, risicata, ben diversa da quella delle precedenti elezioni, con un  sostegno popolare ridotto e una prospettiva carica di incognite per il futuro e per l’esercizio del potere.

Un risultato che invita, in ogni caso a mettere a fuoco il cammino fatto dall’India in questi ultimi anni e a proiettare sfide e prospettive in un mondo in grande e veloce cambiamento. Paese di circa un miliardo e 400 milioni di persone, il più popoloso al mondo, l’India, ha mantenuto finora una certa stabilità interna sorretta da una democrazia dalle radici profonde. Ma è proprio sul tema della tenuta della democrazia che si insinua una delle sfide più importanti per Paese.

Composto da grandi diversità etniche, linguistiche e religiose, il Paese è oggi dominato da un Partito e da un Primo Ministro che non nascondono di guardare verso un nazionalismo indù sempre più intollerante nei confronti di altre minoranze religiose, in particolare quella musulmana, che conta circa 200 milioni di persone. In questa politica sono in gioco e a rischio la laicità dello Stato, la convivenza della popolazione, le libertà fondamentali di stampa e di espressione e una deriva autoritaria in grado di compromettere la stabilità politica e le ambizioni economiche e di sviluppo del Paese.

Una sfida altrettanto importante è infatti lo sviluppo economico e sociale in corso. L’economia indiana ha fatto passi da gigante e progressi innegabili in questi ultimi anni, posizionandosi al quinto posto della classifica mondiale e con un tasso di crescita del PIL che, nel 2023, ha toccato il 7%. Obiettivo dichiarato del Primo Ministro è quello di raggiungere il terzo posto, dietro solo Stati Uniti e Cina nei prossimi anni.  Va sottolineato al riguardo che uno dei vantaggi per la crescita economica del Paese è rappresentato da una popolazione molto giovane, con un’età mediana di circa 28 anni, destinata a crescere nell’età lavorativa.

Una crescita che ha tuttavia il suo rovescio della medaglia: malgrado le invidiabili percentuali e la evidente diminuzione del livello di povertà, la ricchezza è ancora distribuita in modo alquanto disomogeneo, con evidenti e forti disuguaglianze ancora presenti fra la popolazione e enormi difficoltà a generare occupazione. Sono ancora milioni le persone che vivono in condizioni precarie o di estrema povertà, circa il 16% della popolazione, mentre il 5% degli indiani possiede oltre il 60% della ricchezza del Paese. 

Anche sulla scena internazionale l’India, in questi ultimi dieci anni, ha fatto notevoli passi avanti. Diventata potenza economica e demografica, l’India punta sempre più ad un ruolo di primo piano e di più ampio respiro nella governance mondiale. In un periodo in cui il mondo è in preda a disordine, incertezza e divisioni, l’India non ha ceduto ad impegni di alleanze particolari, ma continua a perseguire una politica pragmatica di “multi-allineamento” che la porta a trattare e a discutere con tutti i maggiori attori mondiali e ad essere definita una potenza d’equilibrio.

Resta il fatto che il risultato di queste elezioni invia un messaggio di allerta al Primo Ministro Modi, manda a dire che l’opposizione esiste, che ha ottenuto significativi risultati e che è necessario, quando la democrazia è in pericolo, tirare un vigoroso campanello d’allarme. 

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