Il ritorno delle quote latte

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A volte ritornano e in genere non portano buone notizie.
Tocca adesso alle “quote latte”, protagoniste di una vicenda, non proprio esaltante, iniziata per l’Italia e per l’Europa nel lontano 1984, quando l’UE decise di fissare contingenti nazionali di produzione lattiera, con pesanti sanzioni per i trasgressori.
Obiettivo di quelle misure era quello di ripartire, tra i Paesi membri dell’UE, la produzione del latte al fine di evitare costose eccedenze. I negoziati furono, come sempre, difficili e si conclusero con l’assegnazione di quote di produzione lattiera per ciascun Paese, con una quantità successivamente giudicata da molti insufficiente per l’Italia. Le ultime modifiche del 2008 delle ripartizioni non soddisfecero del tutto i produttori italiani, che però vi si dovettero adeguare a fronte di un regolamento europeo di diretta applicazione negli Stati membri e la cui validità sarebbe giunta al termine nel 2015.
Da allora la vicenda delle quote latte e delle sanzioni non pagate da allevatori italiani si trascina tra revisioni delle quote, rateizzazioni senza interessi e deroghe al pagamento delle multe comminate ai trasgressori.
E’ appunto all’ultima deroga, concessa a fine 2010 dal governo Berlusconi sotto la pressione della Lega, che si riferisce l’ultimo intervento dell’UE nei giorni scorsi, con l’apertura di una procedura di indagine formale nei confronti dell’Italia, che adesso ha un mese di tempo per rispondere alla Commissione di Bruxelles e impedirle di ricorrere alla Corte di Giustizia europea dalla quale potrebbero arrivare per l’Italia pesanti sanzioni. Perché quello che deve subito essere chiaro è il trasferimento delle responsabilità delle inadempienze di pochi allevatori allo Stato il quale, sotto il ricatto della Lega protettrice dei trasgressori, si è fatto carico dei costi non indifferenti – non meno di un miliardo di euro – prodotti dalle deroghe oggi sotto accusa.
Già all’interno del governo Berlusconi si erano levate le voci di quanti ritenevano inaccettabili le pretese della Lega a protezione di un suo elettorato poco sensibile alla legalità: tra questi, l’allora ministro dell’agricoltura Giancarlo Galan che adesso, insieme alle organizzazioni degli agricoltori e alla stragrande maggioranza delle forze politiche, si rivolge al governo Monti perché metta fine a questa ennesima vergogna italiana che addossa ai contribuenti i costi della trasgressione di pochi allevatori.
Al di là di questa complicata e infinita vicenda, ritorna il tema dei costi non solo di qualche “furbetto”, ma di un pezzo sfrontato di “casta politica”, la Lega in questo caso, che non ha esitato a trasferire sul conto dello Stato e nostro, il pagamento di suoi biechi interessi elettorali, contribuendo inoltre a peggiorare la credibilità dell’Italia nelle sedi internazionali.
Un atteggiamento che fa il paio con l’ostinazione a voler fare pagare ai contribuenti il costo delle Province, della cui sopravvivenza la Lega e i suoi rappresentanti locali si stanno facendo carico a spese nostre, vantandone benefici che stentiamo a vedere e amministratori dei quali è improbabile che sentiremo la mancanza.

 

 

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