Il rispetto dei patti nell’Unione Europea

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Quanto più cresce la litigiosità e l’intensità dei contenziosi tanto più si invocano i “patti” e i loro rispetto. Non accade solo nell’Italia alle prese con il governo delle “larghe intese”, che qualcuno interpreta come intese a “maglie larghe”, al punto da metterci dentro tutto e il contrario di tutto. Accade in Europa, con la sua storia di patti infranti e oggi di nuovo confrontata a patti tuttora vigenti, ma variamente interpretati o disattesi.

Un esempio su tutti, il cosiddetto “Patto di stabilità” che avrebbe dovuto legare i Paesi contraenti al rigoroso rispetto di alcuni parametri, in particolare quelli del deficit e del debito pubblico rispetto al proprio Prodotto interno lordo (PIL).

Secondo il dizionario italiano, dicesi “patto” un “accordo tra due o più parti, che comporta obblighi reciproci”, ricordandone la derivazione latina collegata con il termine “pace”.

Poiché anche in questo caso – come in molti altri ormai – grande è la confusione sotto il cielo, possono essere utili alcune considerazioni.

La prima riguarda l’esatta definizione del patto europeo di cui tanto si parla in questi giorni e dei vincoli che ne derivano per l’Italia. L’espressione compare con il Trattato di Maastricht del 1992, dove la dizione completa era quella di “Patto di stabilità e crescita”. Eravamo allora giusto all’indomani dell’unificazione tedesca, l’abbattimento del Muro di Berlino aveva fatto sperare nuovi orizzonti di sviluppo sul continente europeo e la crisi che avremmo conosciuto nel 2008 era lontana. Forse per questo prevalse allora la preoccupazione della “stabilità” e del rigore dei conti pubblici e si dimenticò progressivamente l’obiettivo della “crescita” e con essa l’altro vincolo, quello degli “obblighi reciproci”.

Di questa lettura si fece tenace interprete la Germania e non sono bastati cinque anni di crisi economica e di recessioni per fare cambiare idea alla Cancelliera Merkel. Capita così che la crescita continui a essere invocata e la solidarietà, iscritta nel patto, regolarmente rinviata a giorni migliori, quando i conti saranno risanati e molti europei passati a miglior vita. Tra questi gli italiani che soffriranno nel 2013 di una recessione di -1,3%, in attesa di una debole ripresa dello 0,7% nel 2014, ma con un aumento della disoccupazione che salirà sopra il 12% e un’impennata del debito pubblico oltre il 132%. Se il nuovo governo manterrà le sue promesse e troverà un’adeguata soluzione fiscale – IMU e IVA compresa – dovrebbe invece migliorare il rapporto deficit/PIL, oggi sotto la barra del 3%.

È su questi indicatori che si giocherà l’applicazione del Patto di stabilità all’Italia: nonostante il peso del debito, si può sperare che il contenimento del deficit e l’aggravamento della disoccupazione inducano l’UE – e per essa la Germania – a non strangolare ulteriormente l’Italia, consentendole di riprendere il cammino della crescita. Margini di flessibilità sono stati accordati  alla Francia e alla Spagna con la proroga di due anni per il rientro dal deficit; da parte sua l’Italia punta a scomputare dalla spesa pubblica gli investimenti produttivi e quelli per l’occupazione giovanile, a meglio utilizzare i Fondi europei, a non escludere una proroga per il deficit e, senza troppo dirlo, a poter rientrare dal debito senza il salasso di 40 miliardi di euro all’anno per 20 anni, sottoscritto dal governo Berlusconi.

Tutte speranze fragili, almeno quanto la fragilità dell’attuale governo la cui tenuta preoccupa Bruxelles più di ogni altro indicatore in rosso. Anche perché dopo i brividi di Grecia e Cipro, uno scivolone dell’Italia porterebbe con sé quello dell’euro, se non addirittura dell’UE e delle sue logorate democrazie.

Troppe tensioni si stanno accumulando in Europa e ai suoi confini per non esserne inquieti.

In Francia aumenta il malcontento popolare e l’ostilità verso la Germania, dove prende quota un nuovo partito anti-euro, di sapore nazionalista; in Ungheria, xenofobia e antisemitismo sono pericolosamente tollerati; in Gran Bretagna e nei Paesi scandinavi crescono movimenti populisti: tutti segnali che fanno temere per il futuro delle nostre democrazie in affanno.

Ai confini dell’Europa, le “primavere arabe” continuano a generare tensioni ed è sempre più corta la miccia che potrebbe fare esplodere la polveriera del Medioriente, con Iran e Siria in conflitto con Israele, rendendo impossibile un patto di civile convivenza in quell’area, dove l’Iraq è ancora lontano da pacificazione e democrazia.

Forse anche per questo, come dice il dizionario, “patto” fa rima con “pace”: cominciando da noi, con quella sociale e quella tra i popoli europei, reduci da due conflitti mondiali, oggi troppo rimossi, come se democrazia e pace fossero le condizioni naturali dell’Europa e non invece faticose conquiste sempre minacciate.

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