Il populismo che minaccia l’Europa e la democrazia

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Anche in questa stagione di democrazia rappresentativa calante gli appuntamenti elettorali qualche effetto lo producono.

A poco più di sei mesi dalle prossime elezioni europee si moltiplicano gli allarmi, se non le paure, per l’esito di quel voto, minacciato da un’ondata di euroscetticismo, di nazionalismo e di xenofobia. Parafrasando un celebre “manifesto” di metà ottocento, si potrebbe ripetere oggi che “un fantasma si aggira in Europa”: il populismo.

Un fantasma a più d’un titolo: un po’ perché a lungo è stato invisibile – o, sarebbe più corretto dire, non lo si è voluto vedere – ma più ancora per i suoi contorni incerti, variabili da Paese a Paese.

Nei manuali di scienza politica, fino a non molti anni fa, il regno del populismo era considerata  l’America latina, adesso alligna un po’ ovunque in Europa: dai Paesi del nord, in competizione con le stanche socialdemocrazie scandinave, dalla Gran Bretagna ai Paesi fondatori della Comunità europea, come la Francia, l’Olanda e il Belgio, facendo capolino anche nelle recenti elezioni tedesche, per non dire dell’Italia, dove ha volti diversi ma contenuti simili, come nel caso del Movimento 5 stelle e, in parte, nel morente Popolo della libertà.

Difficile descrivere un fantasma allo stesso tempo così consistente e così evanescente.

Non aiutano le categorie della politica tradizionale, organizzata attorno alla forma-partito e alle istituzioni classiche della democrazia rappresentativa e non in grado quindi di leggere queste forze anti-partito e anti-sistema. Né aiuta la comprensione del fenomeno la centralità, in questi movimenti,  di leader carismatici – veri padri-padroni delle rispettive truppe – a prima vista molto diversi tra di loro, anche se tutti animati dalla stessa pretesa di parlare direttamente alla “gente”, chi attraverso il web, chi facendo uso del proprio impero mediatico.

In una recente intervista a una catena di importanti giornali europei, variamente riproposta a seconda dei rispettivi Paesi, il nostro Presidente del Consiglio ha lanciato l’allarme: “Fermiamo i nemici dell’Europa”, per la testata italiana, più incline al sensazionalismo, “Con le riforme, si può vincere il populismo”, come titolava più sobriamente “Le Monde”.

Le parole variavano da una testata all’altra, ma nella sostanza convergevano: dalla denuncia della sottovalutazione del rischio populista alla constatazione, un po’ tardiva, di quanto abbia danneggiato il progetto europeo la politica di austerità nel corso della legislatura 2009-2014 del Parlamento europeo; dalla necessità di rendere trasparenti le responsabilità dell’Unione Europea al dovere comunitario di affrontare insieme il problema dell’immigrazione; dall’urgenza di riforme rinviate per troppo tempo in Europa e in Italia a una nuova stagione di relazioni con la Germania.

Fosse ancora tra noi De Gaulle e leggesse l’intervista di Letta, è probabile che tornerebbe a ripetere, con quella sua aria di ironica sufficienza, che si tratta di un “vaste programme”, tradotto: belle parole, poco praticabili.

Eppure questa è, almeno in parte, la strada da intraprendere se si vuole dare un futuro all’Europa e alla nostra malandata democrazia: non sarà la demagogia populista a salvare né l’una né l’altra.

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