Si è concluso il 6 settembre a Pechino il Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), un incontro che, dal 2000, si ripete ogni tre anni. Le relazioni fra i due partecipanti, che insieme rappresentano circa 2,8 milioni di abitanti, affondano tuttavia le loro radici in tempi ben più lontani nella storia.
Il 2000 è un anno che segna una svolta nella strategia cinese relativa agli investimenti esteri delle sue imprese, inizio di un lungo preludio a quella che sarà poi il grande progetto della “Nuova via della Seta”, inaugurato dal Presidente Xi Jinping nel 2013. Un progetto geostrategico di lungo respiro, volto innanzitutto a collegare la Cina all’Europa, passando per i grandi spazi dell’Asia centrale attraverso grandi infrastrutture stradali, ferroviarie e porti. Un progetto con l’obiettivo grandioso di favorire l’esportazione delle merci e dei prodotti cinesi nel resto del mondo.
In questa prospettiva, l’Africa riveste senz’altro un’importanza non secondaria, non solo per la sua posizione geografica e snodi di passaggio, ma soprattutto per le sue ricchezze minerarie strategiche, indispensabili alla Cina per garantire e mantenere una nuova leadership nella produzione e nell’esportazione di tecnologie indispensabili ai cambiamenti e alla transizione energetica globale in corso.
Secondo recenti dati, infatti, circa il 30% delle riserve di minerali necessari per la transizione tecnologica ed energetica del futuro si trova in Africa. Elementi come il cobalto, la grafite, il rame, il nichel e il litio sono componenti essenziali per la produzione di batterie e circuiti integrati e per la produzione di auto elettriche. Una ricchezza che fa gola non solo alla Cina, ma, in particolare, anche agli Stati Uniti e all’India, diventando in tal modo oggetto di competizione sullo stesso Continente africano. Resta il fatto che, almeno a partire dal 2009, la Cina è primo partner commerciale dell’Africa.
Gli investimenti cinesi in Africa sono stati ingenti e i prestiti fatti ai singoli Paesi hanno toccato somme record, soprattutto fra il periodo 2013-2019. Ovunque la Cina ha finanziato ferrovie, strade, porti, centrali elettriche, ospedali e cliniche, aeroporti e altre infrastrutture. Con grande interesse da parte africana, che vedeva l’opportunità di uscire da tanti anni problematici, segnati da un pesante indebitamento, dai piani di aggiustamento strutturale imposti dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), nonché dal peso del rapporto con le vecchie potenze coloniali. Ma il debito eccessivo dell’Africa non è sparito, è solo transitato e aumentato, in gran parte, nei confronti della Cina. Pechino è diventato infatti il primo creditore dei Paesi africani e continua ad essere uno dei principali finanziatori di molti progetti infrastrutturali.
In questo rapporto asimmetrico, i 56 Paesi africani presenti al Vertice hanno incassato un nuovo e sostanzioso impegno finanziario da parte di Pechino, anche se la prudenza cinese di questi ultimi anni segnati dal Covid, aveva ridotto sensibilmente tale impegno: Xi Jinping infatti ha rimesso sul tavolo 50 miliardi di dollari per i prossimi tre anni e la promessa di sostenere lo sviluppo dell’occupazione africana.
Questo impegno non riguarda tuttavia solo una strategia economica e commerciale, ma nasconde anche due aspetti geopoliticamente importanti nel contesto dei grandi cambiamenti globali in corso. La Cina cerca infatti di rafforzare anche la sua leadership nel contesto di quel “Sud globale” che sta emergendo sulla scena internazionale e, al riguardo, il sostegno africano è essenziale e significativo. Basta pensare che solo il piccolo Stato eSwatini (ex Swaziland) è l’unico Stato africano oggi a mantenere rapporti diplomatici ufficiali con Taiwan.
E’ stato un vertice importante, dove sia l’Africa che la Cina hanno mandato al mondo e all’Occidente in particolare, messaggi inequivocabili di grandi cambiamenti e dove la competizione si giocherà su una scena globale sempre più larga e interconnessa.