Il difficile accordo all’ ONU sulla Siria

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Sono trascorsi ormai dieci mesi da quando sono iniziate in Siria le manifestazioni e le proteste contro il regime di Bachar al Assad, e secondo le ultime stime dell’ONU, le vittime sarebbero più di 5.500.  Dopo la Tunisia, l’Egitto, la Libia e lo Yemen che, con modalità diverse e con il prezzo di un intervento militare NATO, sono riusciti a rovesciare i rispettivi dittatori al potere, sembra difficile intravedere in Siria, a breve termine, una soluzione alle proteste della popolazione. Il numero delle vittime, che aumenta di giorno in giorno e il lungo periodo della protesta indicano sia la risolutezza dei siriani a non abbandonare la lotta sia l’acuirsi della violenza e della repressione che il regime siriano e le sue forze di scurezza mettono in campo per reprimere il dissenso. Tuttavia, nel corso dei mesi la situazione interna ha avuto una certa evoluzione; a fine agosto è stato costituito a Istanbul un Consiglio nazionale siriano (CNS) che raccoglie la maggior parte delle correnti politiche di opposizione al regime, dai liberali alla confraternita dei Fratelli musulmani, vietata in Siria da lunga data, dai partiti kurdi a quelli assiri. Nelle fila dell’esercito regolare si registrano, giorno dopo giorno, diserzioni di soldati che si rifiutando di sparare sui loro concittadini e vanno a raggiungere le fila dell’Esercito siriano libero. Sebbene sprovvisto di uomini e mezzi adeguati, l’Esercito libero cerca di interporsi fra la popolazione e le forze regolari per limitare le violenze e i massacri. Da questo punto di vista, il pericolo è grande che la protesta civile e pacifica dei siriani venga sopraffatta dagli scontri militari.
Sul fronte esterno e internazionale, la complessità della situazione geostrategica della Siria ha imposto finora un atteggiamento più che prudente. Unione Europea e Stati Uniti hanno sì adottato sanzioni contro la Siria, ma il loro impatto non ha, per il momento, fatto pressione sul Presidente Assad per convincerlo ad adottare alcune riforme necessarie e a cessare la repressione, né tantomeno per convincerlo a lasciare il potere. La Lega araba, sostenuta sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti, malgrado i numerosi appelli al regime di Damasco, ha deciso di sospendere la missione dei suoi osservatori. L’ultima sua proposta di formare un governo di unità nazionale per far uscire il paese dalla crisi e per arrestare la deriva verso una guerra civile è stata, ancora una volta, rifiutata dal Presidente siriano.
Ora, con l’acuirsi della crisi e il possibile ravvicinamento degli scontri a Damasco, il caso della Siria è finalmente approdato all’ONU e al suo Consiglio di Sicurezza. E qui la strada per raggiungere un accordo su una risoluzione che condanni fermamente il regime o invochi una sua sostituzione è tutta in salita. In primo luogo per l’opposizione della Russia, sostenuta dalla Cina, che ha nella Siria l’unico paese amico in Medio Oriente e che teme, con l’adozione di una risoluzione, la possibilità di un intervento militare come è successo in Libia. Malgrado gli sforzi diplomatici per ottenere l’accordo della Russia e rassicurarla che non vi sarà intervento militare, la bozza di risoluzione è tuttora oggetto di negoziato e di compromessi. La versione sul tavolo prevede la consegna del potere da parte di Bachar al Assad al suo Vice Presidente e la tenuta di elezioni libere. E’ una corsa contro il tempo perché la situazione sta veramente degenerando e la crescente instabilità della Siria, che ha dalla sua parte l’Iran, è una minaccia più che reale per l’intera regione.

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