Il Belgio al timone nel mare agitato dell’UE

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Che l’Unione Europea sia una macchina complicata non c’è bisogno di dirlo, anche se magari può essere utile ricordarsene in questa vigilia di voto europeo, chiarendo alcuni elementi essenziali del suo funzionamento.

E’ una buona occasione per farlo in questi primi giorni dell’anno portando l’attenzione sul meccanismo di rotazione semestrale della presidenza del Consiglio dei ministri UE, il luogo delle decisioni comunitarie in collaborazione con il Parlamento europeo. Si tratta di
una rotazione iniziata con il Belgio nel 1958, quando la Comunità europea contava sei Paesi, e che torna al Belgio in questo primo semestre dell’anno, secondo un ordine alfabetico modificato nel corso degli anni con l’ingresso di nuovi Paesi nell’UE. Si tratta di un meccanismo che affianca un’altra importante Istituzione UE, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, in cantiere dal 1974 e diventata ufficiale nel 2009, e che ha il compito di definire l’orientamento politico generale e le priorità dell’Unione Europea.

Al Consiglio dei ministri spetta il compito di mandare in esecuzione questa agenda politica, ciascun ministro sulla base delle proprie competenze settoriali, con l’esigenza di coordinare i lavori nelle molte materie trattate, avvalendosi della guida, con turno semestrale, di un governo nazionale, chiamato a sua volta a coordinarsi con la presidenza del semestre precedente e con quella del semestre successivo.

E già qui si manifesta la complessità, ma anche l’interesse dell’operazione quando accade, come in questo periodo 2023-2024, che a succedersi alla presidenza semestrale del Consiglio dei ministri sia stata la Spagna nel 2023, adesso il Belgio e, salvo sorprese, nel secondo semestre 2024 l’Ungheria. Tre Paesi con storie diverse nell’UE: il Belgio, un Paese fondatore delle prime Comunità europee, la Spagna arrivata nel 1985 e, l’Ungheria, entrata nell’UE con il grande allargamento del 2004. Ma anche tre Paesi con profili istituzionali e politici diversi: due monarchie i primi due, una repubblica il terzo; convintamente “europeisti” i primi due e in costante opposizione alle politiche di
integrazione (salvo incassare i soldi comunitari) l’Ungheria, per la quale il Parlamento europeo ha sollecitato la sua esclusione dalla prossima presidenza.

Inquadrata così sommariamente la presidenza semestrale, può essere interessante scorrere rapidamente le priorità che il governo belga ha individuato per il prossimo semestre, un’agenda piuttosto impegnativa visti i tempi che corrono.

Non è un caso se si comincia con la difesa dello Stato di diritto e la democrazia, in vista della vigilia delle elezioni e anche nella prospettiva delle future adesioni; si prosegue con il rafforzamento della competitività, un fronte sul quale la Commissione europea ha coinvolto Mario Draghi, e l’impegno a mantenere la pressione sulla necessità di procedere a una transizione ecologica giusta, per non lasciare nessuno indietro, un’impresa che non sarà una passeggiata.

Il Belgio potrà mettere a servizio dell’UE la sua riconosciuta esperienza nella ricerca di compromessi politici e nell’attenzione in materia sociale, promuovendo il rilancio della concertazione tra imprenditori e sindacati, e portando l’attenzione sulla protezione delle persone e delle frontiere, un tema arduo da affrontare in una stagione come questa segnata da crescenti forme di razzismo e intolleranza.

Infine una priorità quasi “eroica”: quella di promuovere l’ “Europa mondiale”, attivando la cultura multilaterale, la leva dell’economia, della sicurezza e della difesa e avvalendosi anche di una politica commerciale ambiziosa ed equilibrata.

Come si vede un semestre europeo a forte ambizione guidato da un Paese di appena dieci milioni di abitanti ma che, nella sua storia, ha dato prova di saper governare difficili conflittualità al suo interno: sarebbe bello se potesse dare un analogo contributo per ridurre anche quelle tra i Paesi UE.

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