I nodi della della democrazia e della sovranità nell’UE

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Già non era stato di buon auspicio il fatto che, nell’incontro a Berlino tra Mario Draghi e Angela Merkel, l’attenzione dei media si fosse concentrata sul possibile spostamento della finale degli europei di calcio da Londra verso il continente, quasi una coda avvelenata di Brexit.

Non era questo il tema principale dell’incontro a Berlino, quanto piuttosto la preparazione del Consiglio europeo dei giorni scorsi e il suo ordine del giorno nel quale figurava il tema dell’accoglienza dei migranti. 

Un tema rimasto in agenda, ancora una volta senza aver trovato conclusioni decisive ma solo modesti preparativi in vista di una ripartizione dei richiedenti asilo, peraltro in forte riduzione un po’ ovunque dopo il picco del 2016: la Germania è passata da 1.282.690 richieste di asilo alle 471.630 dell’anno scorso, l’Italia da 122.960 a 26.540. Una contrazione che non sembra influire sulle resistenze all’accoglienza dei Paesi UE in favore dei Paesi più esposti come Germania, Spagna, Grecia e Italia. Di qui il ritorno di un fantasma di cui l’Unione Europea non ha da andar fiera: quello dell’accordo del 2016 tra l’Unione Europea – si legga Germania – e la Turchia, pagata a suon di miliardi di euro dal bilancio comunitario per arginare i flussi migratori da est e trattenere i migranti nella Turchia di Erdogan, un “dittatore” nelle parole di Mario Draghi.

Adesso l’orientamento è quello di estendere quell’accordo – discutibile, se non peggio – anche ai flussi migratori in provenienza da sud, ricorrendo ad altri miliardi del bilancio comunitario, con l’obiettivo di fermare i migranti nei Paesi  dell’Africa settentrionale e questo nonostante la lezione poco “umanitaria” largamente impartita dalla Libia. Il tutto nell’attesa infinita di trovare finalmente una soluzione duratura ad una “emergenza” che dura da anni e che continua a scontrarsi con l’assenza di una politica migratoria comune europea, lasciando al ricatto dei Paesi egoisti – Ungheria in testa – largo margine per bloccare ogni accoglienza. 

Quella stessa Ungheria che è stata la protagonista negativa del Vertice di Bruxelles in uno scontro sul tema della libertà in materia di orientamento sessuale, mettendo ulteriormente in evidenza la faglia profonda tra Paesi UE centro-orientali, in provenienza dall’ex-Unione sovietica, e gli altri che, con una lettera firmata da diciassette Paesi, hanno chiamato al rispetto dei diritti, alla luce di quanto sottoscritto da tutti – Ungheria compresa – nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali. 

Si sono così saldate su questi temi – accoglienza migranti e libertà di espressione – le tensioni che stanno agitando l’Unione alle prese con il difficile percorso verso una “sovranità europea”, fondata su valori e politiche comuni e rispetto dello Stato di diritto. Non è il momento di fare un passo indietro su questa strada, mentre la competizione internazionale si va acuendo in un mondo dove crescono dittature e “democrature” e dopo che la creazione di un debito comune europeo ha dato con il Recovery Fund un chiaro segnale di svolta verso la solidarietà, chiamando tutti i Paesi UE a condividerne la responsabilità.

Per chi avesse creduto risolte le tensioni tra est ed ovest, visti i buoni risultati del processo di integrazione economica, dovrà adesso porre la massima attenzione ai crescenti differenziali nell’esercizio della democrazia, una minaccia che pesa sulla futura coesione dell’Unione la quale, dopo le svolte di questi ultimi mesi, non può tornare indietro, pena logorarsi e dissolversi progressivamente. E non ce n’è proprio bisogno.  

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