I due presidenti Macron al Parlamento europeo

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Erano almeno due i protagonisti la scorsa settimana a tenere il discorso del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, alla prima sessione plenaria dell’anno al Parlamento europeo. Alla tribuna ha parlato il presidente di turno del Consiglio UE per questo primo semestre dell’anno, ma ha anche preso la parola il presidente della Repubblica francese, futuro candidato alle elezioni presidenziali della prossima primavera. Nessuna sorpresa: la coincidenza era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire e Macron se l’è giocata bene, tanto nel suo discorso che nelle repliche ai parlamentari cui era consentito, diversamente che nel Parlamento francese, interpellare il presidente.

Altri due Macron si sono visti all’opera a Strasburgo: quello dell’ambizioso intervento alla tribuna del Parlamento, su democrazia progresso e pace e quello, non proprio democratico, nella sala della conferenza stampa dove ai giornalisti non è stata data la possibilità di porre domande.

Per rispetto istituzionale, prendiamo per buono il discorso di Macron dalla tribuna, quello di stile franco-cartesiano delle “idee chiare e distinte” che ha caratterizzato il messaggio  del presidente francese, sul futuro dell’Europa e, perché no, della Francia che spera continuare a governare.

Lo schema del discorso era costruito sulle tre promesse contenute nello straordinario progetto dell’integrazione europea: democrazia, progresso e pace. 

Tre promesse sostanzialmente mantenute in questi primi settant’anni di vita comune, ma che adesso sono a rischio. La democrazia sotto i colpi dei diffusi autoritarismi, il progresso nel nuovo mondo che si va disegnando e la pace minacciata dai nazionalismi. 

Particolarmente convincente la riflessione sulla democrazia liberale nel senso politico del termine, “questo regime che l’Europa ha inventato, adesso affaticato, incapace di far fronte alle grandi sfide del secolo” e questo nonostante che abbia dato buone prove di sé nella gestione della pandemia, grazie anche al dibattito parlamentare e alla libertà di espressione. Resta però alto il rischio proveniente dagli attacchi allo Stato di diritto, la fine del quale significherebbe “il regno dell’arbitrio”, una minaccia che Macron vede soprattutto venire al di là delle frontiere dell’Europa, senza riferimenti imbarazzanti relativi a Polonia e Ungheria.

Quanto alla promessa di progresso “in questi ultimi anni è stata fragilizzata  dalle “disuguaglianze crescenti, dalla deindustrializzazione e dalle nuove sfide sfide climatiche e numeriche”. Si tratta adesso di passare dalle parole agli atti: “trasformare le nostre industrie, investire nelle tecnologie del futuro che si tratti delle batterie o dell’idrogeno è l’ambizione del patto”. Ma anche qui non c’è traccia del problema del nucleare, un’energia che la Francia vuole sia considerata “verde”, sollevando molte perplessità nei Paesi UE, in attesa che anche il Parlamento si esprima sulla discutibile proposta della Commissione.

Infine la promessa di pace: Macron è realista e ne parla solo dopo aver chiarito quali sono le esigenze di sicurezza dell’Europa, dedicando ampio spazio al futuro della difesa dell’Unione e alla protezione dei suoi confini non solo dalle minacce militari, ma anche dalla pressione dei flussi migratori sulle frontiere esterne. Anche per questo gli viene naturale guardare all’Africa, cui offrire l’occasione per uno sviluppo economico e una “agenda in materia di educazione e di salute” e una di “sicurezza per il sostegno europeo agli Stati africani confrontati alla minaccia del terrorismo… e lottando contro l’immigrazione illegale”. E Macron prosegue con un’apertura verso i Balcani, dalla Francia osteggiata in questi ultimi anni, senza tuttavia prendere troppi impegni.

Tanti temi interessanti, spesso affrontati in chiave diversa da un presidente – anzi da due – in questo semestre europeo e in questa vigilia elettorale francese.

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