I cinque anni del nuovo Parlamento Europeo

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Si è insediato la settimana scorsa il nuovo Parlamento Europeo per una nuova legislatura di cinque anni. Scarsa l’attenzione dei media al tema, come da consuetudine, salvo poi stupirsi e stracciarsi le vesti nel 2014 per la scarsa conoscenza e partecipazione al voto di questa importante istituzione dell’Unione Europea. E questo nonostante le non poche novità   già   verificatesi e quelle che si annunciano nei prossimi mesi.
Questa legislatura – la sesta da quando il Parlamento Europeo è eletto a suffragio universale diretto – si apre in uno scenario di crisi economica globale di cui ancora non si vede la fine e la cui soluzione avrà   bisogno degli sforzi congiunti di tutti i Paesi e dell’Europa in particolare, possibilmente capace di dare una sua risposta coordinata anche se, purtroppo, non ancora unitaria. Questa crisi infatti coglie l’Europa ancora incompiuta nelle sue lente dinamiche di integrazione non solo politiche ma anche economiche, che rischiano adesso di segnare una battuta di arresto se non addirittura di regressione.
Su questo sfondo ha preso vita la nuova legislatura che ha per ora definito le responsabilità   all’interno di un Parlamento rinnovato per circa metà   dei suoi membri e una percentuale ancora superiore per quanto riguarda la delegazione italiana.
Si tratta di un’Assemblea a dominante di centro-destra, senza tuttavia che vi siano alleanze consolidate per raggiungere la maggioranza al momento del voto finale.
In particolare l’uscita dei conservatori inglesi dal Partito Popolare Europeo (PPE) – che resta comunque il primo gruppo politico del Parlamento – ha reso più fragile la compagine dei popolari ed ha già   dato luogo ad alleanze innovative rispetto al passato. àˆ quanto accaduto con l’elezione del presidente del Parlamento europeo, il polacco Jerzy Buzek (PPE), che ha ricevuto un consenso trasversale mai raggiunto in passato con 555 voti su 713 parlamentari presenti al voto.
Si tratta di una storia che merita di essere raccontata. àˆ consolidata – e discutibile – tradizione che la presidenza del Parlamento veda un’alternanza a metà   mandato tra i due gruppi politici più numerosi, i popolari e i socialisti. Niente di sorprendente che questo meccanismo si sia riprodotto anche questa volta con ai blocchi di partenza il PPE, ma con due novità  : la prima, l’insolita ampiezza del consenso al suo candidato e, la seconda, l’imbarazzante bocciatura della candidatura italiana che a quell’ampiezza di consenso ha contribuito.
Alla vigilia del voto di giugno, per la presidenza del Parlamento, il presidente del Consiglio italiano aveva puntato tutto sulla candidatura, a suo dire sicura, di Mario Mauro (PdL) persona sicuramente degna, ma che ha finito per pagare il limitato successo del suo partito in Italia e, più ancora, la poca affidabilità   internazionale del suo sponsor italiano. Non è un mistero che la cancelliera tedesca Angela Merkel, in particolare, abbia sostenuto a fondo il candidato polacco contro quello italiano, invocando come argomento l’opportunità   di affidare un ruolo importante ad un Paese dell’Est, ma anche perchè imbarazzata per quanto stava succedendo in Italia nei dintorni del suo collega premier.
E così è finita che l’Italia, persa la presidenza del Parlamento, resterà   a bocca asciutta nelle responsabilità   ai vertici delle istituzioni europee, visto che sono ormai ipotecate sia la presidenza della Commissione (anche se la strada di Josà© Manuel Barroso è tutta in salita e non sono da escludere sorprese) e, quando entrerà   in vigore il Trattato di Lisbona, la presidenza del Consiglio Europeo (figura nuova con un mandato di due anni rinnovabile).
Qualche premio di consolazione è toccato al nostro Paese grazie all’elezione di Gianni Pittella (PD) a primo vicepresidente del Parlamento e con la presidenza di alcune poche commissioni parlamentari.
All’Italia resta ancora qualche margine di manovra per tentare di occupare la presidenza dell’Eurogruppo (quello che raccoglie i 16 Paesi dell’euro) con Giulio Tremonti, rappresentante perಠdi un Paese «maglia nera» dei conti pubblici, e cogliere l’occasione della nuova Commissione per un portafoglio più pesante di quello dei Trasporti affidato oggi al modesto Antonio Tajani. Ma anche qui bisognerà   fare i conti con la scarsa credibilità   internazionale dell’Italia e con la severità  , anche morale, del giudizio del nuovo Parlamento e le sue inedite maggioranze trasversali.
La pausa estiva sarà   sicuramente messa a frutto per sondare gli umori degli uni e degli altri, nell’attesa di conoscere il risultato del secondo referendum irlandese fissato per il 2 ottobre e dal quale dipenderà   la ratifica del Trattato di Lisbona, senza la quale l’Europa avrà   ben altri problemi che quelli delle poltrone.

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