Guerra al terrorismo in Mali

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La complessa situazione venutasi a creare in Mali da qualche mese a questa parte non ha avuto, fino a qualche giorno fa, la meritata attenzione da parte della comunità internazionale, anche se il Presidente francese Hollande ne aveva fatto il punto centrale del suo discorso all’ Assemblea Generale dell’ONU nel novembre scorso. Sembrava quindi una situazione da affrontare nel tempo, man mano divenuta oggetto di trattative e tergiversazioni diplomatiche sul chi dovesse prendere in mano le operazioni, nell’attesa che il Mali e i Paesi della CEDEAO (Comunità economica dell’Africa occidentale) definissero una strategia di intervento e preparassero, con l’aiuto dell’Occidente, le forze militari africane e locali ad affrontare l’occupazione del Nord del Paese da parte dei jihadisti islamici.
La situazione è invece precipitata l’11 gennaio quando gli stessi jihadisti hanno fatto sapere la loro intenzione di avanzare verso il Sud e di giungere fino alla capitale Bamako. Una vera e propria dichiarazione di guerra, volta a precipitare un intervento esterno non ancora maturo e alla quale la Francia ha prontamente risposto inviando il suo esercito e iniziando, da sola e nell’attesa di rinforzi che tardano a venire, una nuova guerra al “terrorismo islamico”. Un intervento che risponde alla richiesta pressante di un Paese “amico” e soprattutto di una sua ex colonia.
Una nuova guerra che non può non farci pensare agli ultimi dieci anni di lotta al terrorismo che si sono conclusi con le disastrose situazioni venutesi a creare in Afghanistan e in Iraq e che, sebbene appena iniziata, contiene già tutti gli interrogativi e le inquietudini sul suo sviluppo, la sua efficacia e i suoi temibili epiloghi. Gli obiettivi dichiarati dalla Francia, sebbene grosso modo coperti dall’ONU, sono volti a fermare e neutralizzare le forze islamiche nel Nord del Paese e a ricomporre l’integrità territoriale del Mali. Ma la prima risposta dei terroristi, con la presa di ostaggi nell’impianto di gas algerino di In Amenas e la sua sanguinosa conclusione, ha confermato che il conflitto non si circoscriverà al solo Mali e che la guerra si giocherà anche sugli interessi economici e strategici dell’Occidente nell’area. Interessi significativi, che non si limitano a gas e petrolio, ma riguardano anche grandi ricchezze di materie prime, non ultima l’uranio.
L’attacco in Algeria ha altresì messo in evidenza che il nemico da combattere ha una fisionomia indefinita, composta da più anime e interessi diversi che vanno da Ansar al-Din (difensore della fede) nel Mali ad AQMI (Al Qaeda nel Maghreb islamico) e al Movimento per l’unicità e la Jihad nell’Africa Occidentale (MUJAO). Una galassia di piccoli e grandi movimenti che opera in più Paesi dell’Africa settentrionale e del Sahel, allenati e armati fino ai denti, in particolare con le armi ricuperate nella Libia incontrollata del dopo Gheddafi e che questa nuova e improvvisa guerra al terrorismo rischia di unire e saldare fra loro.
Tutto ciò si gioca alle frontiere sud del nostro continente, che vede oggi l’Europa in prima linea in una guerra dagli esiti e dalla durata imprevedibili e che rivela, ormai nell’emergenza, di non avere altre risorse da proporre se non le armi.

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