Europa: è di nuovo tempo di migrare

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Eravamo rimasti fermi a uno schema dei flussi migratori che registrava massicci movimenti di migranti verso l’Europa e l’Italia, dopo esserci lasciati alle spalle negli anni ’50 del secolo scorso movimenti in senso contrario, dall’Europa e dall’Italia verso le Americhe e l’Australia. Ma anche l’emigrazione è una ruota che gira e adesso i migranti, italiani compresi, hanno ripreso la vecchia strada verso le destinazioni del secolo scorso.

I primi consistenti segnali di questa inversione dei flussi sono arrivati dai Paesi periferici dell’Europa, in grave crisi economica e occupazionale. È accaduto nella penisola iberica con i portoghesi in direzione delle ex-colonie africane, come l’Angola e il Mozambico, e in Brasile, con gli spagnoli verso l’insieme dell’America Latina.

E non sono i soli europei che hanno fatto le valigie: i Greci verso Germania, Australia e Canada e oltre 100.000 gli irlandesi nel biennio 2011-2012 verso Paesi anglofoni.

Non è sfuggita a queste nuove dinamiche migratorie l’Italia, per quanto riguarda sia gli italiani che vanno a cercare lavoro all’estero sia gli immigrati che, senza lavoro, lasciano l’Italia per altre destinazioni. Questi ultimi sembrano dirigersi di preferenza verso i sistemi di welfare più generosi del Nord Europa, senza escludere ritorni verso i Paesi del Maghreb dove, per esempio,  il ministero del lavoro tunisino dichiara un fabbisogno di 120.000 operai nelle nuove imprese.

Secondo l’ISTAT nel 2011 si sono cancellati dalle anagrafi italiane oltre 30.000 stranieri: metà di questi sono europei, in particolare romeni, il resto asiatici, cinesi e indiani,  e africani. La ragione? Naturalmente la crisi economica che ha raddoppiato tra il 2008 e il 2011 il numero dei disoccupati tra gli stranieri.

Tornano a lasciare il Paese anche gli italiani, si stima oltre 50.000 l’anno, soprattutto giovani talenti e lavoratori qualificati, ma non solo, che all’estero trovano sbocchi relativamente stabili e molto meglio remunerati che in Italia: a titolo d’esempio, in Svizzera un piastrellista ha una retribuzione mensile di 4800 euro, l’insegnante di una scuola d’infanzia in Germania 2200 euro e un pizzaiolo in Francia 1800 euro.

Non sorprende che la principale calamita europea per i candidati italiani all’emigrazione sia la Germania, dove i salari annuali di ingresso sono di quasi 35.000 euro per i diplomati  e di 43.000 euro per i laureati.

In questa vigilia elettorale, dai toni accesi e dai contenuti ancora troppo incerti, sarebbe bene che alle troppe comparsate televisive, dove vecchi e nuovi leader si contendono il gradimento dei sondaggi, si sostituissero proposte concrete sul tema del lavoro, in particolare per i giovani. Il loro lavoro è non solo un diritto ma anche una ricchezza di cui l’Italia non deve farsi derubare, tenuto conto anche dei costi sostenuti per la formazione di queste persone e della necessità di poter contare su queste eccellenze costrette ad andarsene.

Nell’Italia degli sprechi, questo non è sicuramente lo spreco meno scandaloso.

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