Gli occhi dell’UE sull’Italia

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Forse c’è qualcuno ancora più inquieto degli italiani sul futuro del nostro Paese, vista l’attuale congiuntura politica. Sono inquieti anche molti altri europei, in particolare quelli che, dalle Istituzioni UE, a Bruxelles o a Francoforte, guardano a questa nostra vigilia elettorale. E si interrogano anche nelle principali Cancellerie europee, come a Berlino e a Parigi, quelli che la storia ha messo al timone della barca comunitaria.

Da sempre, o quasi, la Germania del dopoguerra guarda con attenzione alla politica italiana che spesso stenta a capire, lontana com’è dagli ordinati schemi tedeschi, con legislature blindate e programmi condivisi fino all’ultima virgola, come nel caso dell’attuale governo “semaforo”, frutto di un accordo tra socialdemocratici, verdi e liberali. Reduci dagli anni di austerità, a lungo segnati dalla Cancelliera Angela Merkel e dagli ambienti conservatori, gli attuali governanti hanno avuto in eredità l’importante apertura di credito che ha consentito l’adozione del Recovery fund, frutto di un debito comune europeo, la sospensione del “Patto di stabilità” e l’allentamento delle regole degli aiuti di Stato. Adesso si tratta di capire se ci sono le condizioni per proseguire su quella strada, sia pure ristabilendo un “Patto di stabilità”, ma con maggiori flessibilità come richiesto da Francia e Italia. Soprattutto si dovrà capire se l’utilizzazione del debito comune è da considerarsi una eccezione, dovuta alla crisi straordinaria indotta dalla pandemia, o se può diventare progressivamente una politica finanziaria condivisa a livello europeo.

Per ragioni diverse sta con le antenne dritte anche la Francia che, molto meno dell’Italia, ha beneficiato di straordinarie risorse europee, ma che condivide con il nostro governo la preoccupazione di un ritorno alle vecchie  regole di austerità, tanto più difficili da rispettare visto l’impennata anche in Francia del debito pubblico, ormai superiore al 115% sul Prodotto interno lordo rispetto alla media del debito pubblico nell’eurozona del 100% e a quello italiano vicino al 160%. Percentuali che non lasciano dormire sonni tranquilli né alla Germania né ai Paesi “frugali”, Olanda ed Austria in testa. Con una preoccupazione in più per quanto riguarda l’Italia: quale sarà l’effettiva utilizzazione dei 191 miliardi europei confluiti nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza”(PNRR) e quali le riforme che saranno realmente realizzate nei tempi previsti?

Si tratta di interrogativi che non mancano né a Bruxelles nella Commissione europea, chiamata a vigilare sulla gestione di tutti quei soldi, né a Francoforte dove la Banca centrale europea non potrà immettere a lungo altra liquidità supplementare, tenuto conto anche dei livelli dell’inflazione, ben superiori a quel 2% di riferimento.

In questo contesto sarà da tenere d’occhio l’attenzione che dedicherà all’Italia l’Eurogruppo, il Consiglio dei ministri finanziari dell’eurozona, che già ha mandato un primo segnale di allerta a proposito della mancata ratifica del “Meccanismo europeo di stabilità” (MES), nascosto sotto il tappeto, dimenticando le opportunità finanziarie che potrebbe offrire a un Paese come il nostro, compreso il contrasto ai rischi che potrebbe correre il sistema bancario.

In attesa di una sovranità europea, in grado di governare tutte queste dinamiche, si muovono le sovranità nazionali nel quadro dei reciproci rapporti di forza e si muove, legittimamente, la sovranità dell’Italia, sola responsabile di un’elezione presidenziale e di nuove prospettive di governo che avranno un forte impatto sul futuro dell’Italia. E dell’Unione Europea, che avrebbe non poche difficoltà a reggere un esito elettorale italiano che mettesse in crisi la stabilità politica dell’Italia e la buona gestione delle risorse europee.    

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