G8 a Camp David: l’UE vista dall’America

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Chissà se da oltre Atlantico, a Chicago dove erano riuniti per il G8, i governanti europei hanno avuto occasione di vedere meglio la piccola Europa, con al centro il vulcano in ebollizione della minuscola Grecia e rendersi conto di quanto sia frammentata l’Unione Europea e quanto essa sia giunta stremata all’appuntamento con i Grandi di questo mondo?

Attorno al tavolo, a rappresentare l’UE, i suoi due facenti funzione di presidenti: quello del Consiglio europeo Van Rompuy e della Commissione Barroso e, in ordine sparso, Merkel sempre ostinata sul rigore, Hollande pieno di buone intenzioni sulla crescita, Monti a fare da pontiere tra i due e Cameron a dare lezioni sulla salvaguardia dell’eurozona di cui non fa parte. Di fronte a loro, preoccupato come non mai, il Presidente USA Obama, ormai in campagna elettorale e con la rielezione appesa agli esiti di una crisi economica, che l’Europa potrebbe aggravare.

Nonostante la crisi abbia falciato occupazione in tutto il mondo – hanno perso il lavoro oltre 120 milioni di persone secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) –

l’attenzione continua a essere calamitata dalle vicende finanziarie: dalla Grecia sul bordo di un definitivo fallimento alla Spagna seduta sulla polveriera di banche dissestate, fino a lambire l’Italia, non ancora del tutto al sicuro sui conti pubblici e con un’economia in recessione.

La Grecia, alle prese con nuove elezioni il prossimo 17 giugno, danza sull’orlo del baratro e soltanto da un allentamento del rigore può sperare di evitare, uscendo dall’euro e forse dall’UE, una catastrofe senza precedenti che trascinerebbe con sé molti: prospettiva che ha fatto dichiarare da tutti al G8 che la Grecia dall’euro non deve uscire.

Preoccupa per ora meno la Spagna, anch’essa stretta nella morsa del risanamento, con una disoccupazione giovanile attorno al 50% come la Grecia e sicuramente non in grado di raggiungere il pareggio di bilancio entro il termine convenuto del 2013.

Quella del 2013 è una scadenza che va molto stretta anche all’Italia, difficile se non impossibile da onorare senza depurare il deficit dalla spesa per investimenti pubblici: per riuscirci bisogna però convincere l’UE – leggi Merkel – che si tratta di investimenti produttivi e non di spesa corrente mascherata.

Dalla Francia di Hollande arrivano stimoli utili, ma prima bisogna vedere l’esito delle elezioni politiche di giugno e quale sarà la capacità dei nuovi governanti di coniugare la crescita promessa e il necessario risanamento di un deficit superiore a quello italiano.

Alla fine le carte restano in mano alla Germania, dove la Merkel sente ormai sul collo il fiato che le viene dai ripetuti successi degli avversari alla sua sinistra e la pressione di cui è stata oggetto al G8 da parte di Obama. C’è da sperare che non rinvii alle elezioni del 2013 decisioni in favore della crescita: altrimenti prima di allora sarà esplosa la Grecia, tremerà l’euro e con esso l’UE e sarebbe un gran brutto biglietto da visita per le elezioni europee del 2014.

Riusciranno in queste condizioni i nostri governanti, reduci dalle lezioni del G8 e dopo il Consiglio europeo del 23 maggio, a dare prime risposte concrete alla crisi e ad avviarsi verso un’Unione politica, invocata da anni e adesso indispensabile per salvare moneta e mercato unico? Capiranno finalmente che è urgente rafforzare la legittimità democratica dell’UE dandole un governo politico frutto del consenso dei cittadini europei?

Passerà di lì anche la salvaguardia della democrazia in Europa, la salvezza della Grecia e dell’Italia e, ci pensi la Merkel, anche quella della sua Germania.

1 COMMENTO

  1. Mi permetto, rileggendo Apice del 16 maggio e nell’attesa delle risposte del Consiglio Europeo del 23 maggio, commentare con una duplice riflessione e risentendo alcuni “messaggi” di Cicerone:
    1- sulla invettiva a Catilina “Fino a quando abuserai della nostra pazienza?”
    2- quali,cosa e come i nostri governanti, reduci del G8 e dopo il Consiglio Europeo, daranno risposte concrete, coniugando rigore e crescita, e confermeranno che in “democrazia” la legittimità dell’Unione Europea e l’agire politico è frutto del consenso dei cittadini europei.
    Pur lontani di secoli, richiamata la invettiva di Catilina, sono – a mio avviso – due riflessioni cogenti, attualissime, sulle due domande riproposte da Apice e che richiamano gli insegnamenti di Cicerone nell’azione politica (degli uomini politici) e dell’agire politico di tutti coloro che in democrazia rivestono il ruolo di unici e veri sovrani (che sono i cittadini) dotati di eguale capacità politica.
    Ecco, il risentire Cicerone che alla sua invettiva a Catilina anche il suo aiuto agli uomini politici ed ai cittadini sul “come” alleviare la stanchezza ed a sollevarsi nei momenti di abbattimento, non arrendendosi nell’attualità dell’oggi, aggiungo io.
    Cicerone offre, innanzitutto, un ritratto dello “statista ideale” identificandolo in un uomo politico che si preocuuperà esclusivamente di perseguire la pubblica utilità; di assicurare concordia; di agire secondo la giustizia e di governare lo Stato secondo virtù.
    E scrive nel “DE REPUBBLICA” il “cosa” può essere di più nobile del governare lo Stato secondo virtù e dice:
    “L’uomo che governa gli altri non è schiavo di alcuna passione, ma ha già conseguito quelle qualità alle quali guida e esorta gli altri. Un simile uomo non impone agli altri le leggi alle quali non obbedisce egli stesso, ma mostra come legge ai suoi concittadini la sua stessa vita”.
    L’insegnamento dell’Arpinate non è rivolto ai soli uomini politici e dovrebbe essere guida per la vita di tutti i cittadini e di tutti i membri delle società politiche.
    E, leggendo nel “DE OFFICIIS”, Cicerone dice che:
    “Uno solo deve essere il fine che tutti gli uomini devono proporsi. E, cioè, che identica sia l’utilità di ciascuno e di tutti. Se questa utilità, ciascuno la trarrà a se, ne sarà distrutto tutto l’umano consorzio”.
    E continua nel “DE OFFICIIS” – esemplificando – il:
    “Come se ciascun membro del nostro corpo concepisse nella mente l’idea di poter migliorare il proprio stato, traendo a se il vigore del membro vicino, sarebbe invitabile che il nostro corpo si indebolisse e perisse. Così se ciscuno di noi trae a se i beni degli altri e toglie quello che può a ciascuno per proprio vantaggio, è inevitabile che la società umana e l’umana solidarietà vadano distrutte”.
    Questa duplice riflessione, con parole e richiami “ciceroniani” alle due domande – rileggendo anche Apice del 16 maggio – penso che contribuiscono a rispondere pur non esaurientemente – al difficile passaggio che sta vivendo il nostro Paese nel contesto degli altri 26 Paesi dell’Unione Europea, rappresentati anche nell’ultimo G8 a Camp David.
    Con il Governo Monti, la Francia di Holland, la Germania della Merkel, con Grecia in sofferenza e Spagna da risanare tocca, ora, all’Europa e non solo alla Merkel di “non abusare della nostra pazienza” in assenza di lavoro ma di mobilitare solidali azioni straordinarie, con priorità, verso la crescita – mediante investimenti programmati a breve nei Paesi in difficoltà – quali segnali visibili a milioni di giovani e meno giovani e ricostruire coesioni nazionali per una Europa democratica di cittadini e non solo di mercato.
    Questi richiami – a mio avviso e scusandomi del lungo commento – non devono cessare ma suonare, spero, come un severo monito ad una forte indicazione, ideale e pratica, di quelle “virtù” che fanno grande una classe dirigente politica e fanno civile un popolo.
    Potrà contribuire e servire anche alla cultura contemporanea, quale fonte autorevole di ispirazione e guida nell’agire politico, prima dell’oggi italiano, da riverberare nell’Unione Europea del domani.
    Donato Galeone

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