Chi guarda la tradizionale foto di famiglia dei Padroni del mondo, riunitisi la settimana scorsa ad Amburgo per il G20 sotto presidenza tedesca, crede di vedere signori cortesi e sorridenti che, se vestiti con meno eleganza, potrebbero essere reduci da un simpatico picnic tra amici di lunga data. Niente o poco di tutto questo. Molte sono le facce nuove, qualcuna ha ancora i tratti tirati di chi ha discusso duro, altri il sorriso rassegnato di chi in quella combriccola conta poco o niente e non può che mandare giù.
Guardando meglio quelle facce, balza subito agli occhi che, della famiglia planetaria, mancano i parenti poveri, quelli che in dote porterebbero ricchezze nazionali troppo modeste, spesso inferiori ai patrimoni delle multinazionali, per potersi sedere al tavolo dei Grandi. Tra questi ultimi spiccano i governanti di Cina, India, Russia, quelli dei Paesi UE, se parlassero a una voce sola, e l’improbabile criniera giallo paglia del presidente USA.
Questi signori hanno appena discusso del futuro del mondo: di pace e guerra, di commercio internazionale, di lotta al surriscaldamento climatico e di migrazioni. Obiettivo dichiarato quello di mettere mano al disordine del mondo e accrescerne il benessere, senza che ne siano chiari i beneficiari, se i pochi Paesi ricchi o i molti Paesi poveri.
Ancora una volta, dopo quasi vent’anni di riunioni del genere, i risultati sono più che modesti.
Per la Siria, devastata da una lunga guerra civile, un’intesa russo-americana per un tardivo cessate il fuoco su macerie fumanti; sul commercio internazionale un ambiguo e fragile compromesso sul libero scambio, ma fatti salvi i sacrosanti confini nazionali per arginare le invasioni di produzioni straniere; per l’impegno sul clima la presa d’atto che gli USA ritirano la loro firma dall’Accordo di Parigi del dicembre 2015, che la Turchia tende a sfilarsi e la conferma che gli altri 18 Paesi rispetteranno i patti sottoscritti, come dovrebbe essere scontato per governanti seri e non improvvisati. Forse più deludenti ancora gli orientamenti per un governo coordinato dei flussi migratori: ognuno pensi ai propri confini e li protegga come può. Un disimpegno così indecente che persino il mite Gentiloni è stato costretto a dichiararsi insoddisfatto e a denunciare la solitudine dell’Italia, alle prese con una solidarietà non condivisa dai suoi partner europei, Francia di Macron compresa.
E a poco sono servite le molte manifestazioni di protesta civile, come al solito avvelenate da azioni violente: rinchiusi nei palazzi i Signori del mondo hanno fatto orecchi da mercante, mestiere nel quale eccellono.
A ben vedere la messinscena di Amburgo però a qualcosa è servita: a svelare qualcosa dei riposizionamenti geopolitici con i quali Russia e USA, nonostante reciproche irrisolte tensioni, convergono nel tentativo di mettere alle corde l’Unione Europea, la quale cerca di uscire dall’angolo lavorando a due importanti intese commerciali di libero scambio con Cina e Giappone, nel tentativo di isolare Trump, trasformando la sua “America first” in “America last”, con la prospettiva di cambiare gli equilibri tra Occidente e Oriente.
Per chi non se ne fosse ancora accorto, la stagione della leadership mondiale americana, consolidatasi dopo la Seconda guerra mondiale, volge al termine e altri attori, come Cina e Russia tra gli altri, vengono avanti intenzionati a non fare sconti a nessuno.
L’Italia, che a questi sconvolgimenti in corso, assiste da spettatrice farebbe bene a darsi una regolata e provare a scendere sul campo di gioco, anche in un ruolo modesto, per non dovere continuamente subire il gioco degli altri.