Molte iniziative convergono di questi tempi per portare al centro dell’attenzione il tema della fiscalità, tanto a livello internazionale che europeo ed italiano.
E’ stato universalmente definito “storico” l’orientamento, espresso il 5 giugno scorso a Londra dal G7 dei ministri delle Finanze dei Paesi occidentali più sviluppati (USA, Giappone, Canada, Regno Unito, Germania, Francia e Italia), di prevedere un’aliquota minima comune del 15% sui redditi di impresa di multinazionali e servizi digitali a favore degli Stati dove questi operano e non solo dove collocano il loro quartier generale. Per l’Unione Europea significherebbe un nuovo introito di 45 miliardi. Sarà interessante vedere quanto questo orientamento sarà condiviso a inizio luglio a Venezia anche dal G20, con Paesi non presenti nel G7 come, tra gli altri, Cina, India, Russia, Brasile e Australia, e quanto tempo richiederà la sua applicazione: probabilmente diversi anni.
Potrebbe diventare storica anche la svolta “fiscale” dell’Unione Europea con la creazione di un debito comune europeo per finanziare il “Recovery Fund”, all’origine del “Piano nazionale per la ripresa e la resilienza” (PNRR) italiano. La natura fiscale della decisione ha richiesto le ratifiche parlamentari di tutti i 27 Paesi membri UE, cui compete una “sovranità fiscale” in materia di imposte dirette. Per ora si è trattato di una deliberazione intergovernativa, esposta alla regola dell’unanimità, come avviene per materie non definite “comunitarie” dai Trattati.
In Italia ha sollevato dibattito la proposta di modificare le imposte di successione, attualmente ad uno dei livelli più bassi d’Europa. Si tratta solo di una misura parziale, da inserire in una riforma globale della fiscalità sollecitata dall’Unione Europea. Sempre in Italia va segnalata la richiesta del Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, di rendere permanente il debito comune europeo, una leva fiscale a sostegno della ripresa economica.
Tre interventi, tra gli altri, che inducono a riprendere con forza una revisione della fiscalità e, soprattutto, a coordinarla a livello internazionale, anche per evitare una concorrenza fiscale al ribasso, quando non addirittura a proteggere i paradisi fiscali nel mondo e a favorire nell’UE Paesi come Irlanda, Lussemburgo, Ungheria e Cipro.
Per l’Europa un terreno minato dalle “sovranità” per nulla intenzionate a privarsi di questo scettro, consolidatosi nella formazione dei nostri Stati nazionali lungo i secoli, facendo del fisco un pilastro importante dei “poteri regaliani”, insieme con l’amministrazione della giustizia, la competenza militare e la moneta. Nell’Unione Europea il potere di battere moneta è stato sottratto agli Stati che hanno aderito alla moneta unico dopo cinquant’anni di vita comunitaria: sono oggi 19 su 27 e altri potranno aggiungersi all’eurozona. Una svolta, anche questa “storica”, che incoraggia quanti ritengono che una futura “sovranità europea” potrà progredire anche in materia di fiscalità e di difesa comune, mentre in materia giudiziaria passi importanti sono in corso, come l’avvio il 1° giugno scorso della Procura europea, incaricata di vigilare sui Fondi europei e combattere frodi e corruzione. Non è ancora la realizzazione di una Amministrazione giudiziaria comune ma, insieme al ruolo esercitato dalla Corte europea di Giustizia (anche nei confronti della Corte costituzionale tedesca), rappresenta un nuovo tassello della futura sovranità europea.
Sarà dallo “zoccolo duro” della fiscalità che dipenderà l’equità sociale, a partire dagli Stati nazionali fino all’Europa e al mondo. Sarà la traduzione del valore della solidarietà, il collante che potrà tenere insieme le nostre società, oggi segnate da diseguaglianze insopportabili.