Europei di calcio: UE-UEFA una brutta partita

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I cittadini europei, non soltanto quelli tifosi, meritavano meglio. Non per le partite giocate sul campo, alcune vivaci e altre un po’ noiose, ma per quanto avvenuto fuori campo in questo periodo di perdurante pandemia, aggravate dalla “variante delta” particolarmente pericolosa nel Regno Unito.

Era già discutibile l’idea di decentrare la competizione in diversi Paesi d’Europa, Russia compresa, ma non è stata fortunata quella di fare giocare semifinali e finali a Wembley, tempio del calcio, in una Paese ad alto rischio per la salute di tifosi e squadre, in movimento tra un Paese e l’altro d’Europa.

La responsabilità di queste decisioni è in carico alla “Union of European Football Associations” (UEFA), considerata organo del governo del calcio europeo, una fortezza di interessi in conflitto assediata da smisurati dissesti finanziari, provocati dalle follie di un mercato calcistico senza ritegno che non riesce a rinsavire. Come non è sembrata in grado di rinsavire l’UEFA, alle prese con i pericoli della pandemia e con poca attenzione alla salute della sua gente.

Si dirà che la UEFA è un’associazione di club calcistici, aziende private, che rispondono alle logiche del mercato, anche sbranandosi al proprio interno, come ancora avvenuto recentemente con  il tentativo di disfarsi dei club di seconda fascia, creando un super-torneo riservato ai club più ricchi, ma non per questo meno dissestati.

Resta il problema che questo “mercato” privato è andato, come molti altri, a sbattere contro l’irruzione della pandemia, col rischio – e qualcosa di più – di alimentarne gli esiti mortali, per la sola Italia sono state oltre 127.600 le vittime. Quanto sarebbe dovuto bastare ai responsabili politici per intervenire in tempi rapidi, con coraggio e buon senso. Purtroppo non è andata così in Europa, dove troppo a lungo i governi nazionali si sono fin dall’inizio della pandemia mossi in ordine sparso e, solo dopo il ritorno della variante delta nel Regno Unito, hanno “cautamente” reagito, visto che l’epicentro dei contagi avrebbe potuto esplodere proprio a Londra.

Il richiamo alla prudenza è emerso nella dichiarazione di Mario Draghi in occasione del suo incontro con Angela Merkel a Berlino, lo scorso 21 giugno, seguito poco dopo da un analogo intervento in questo senso da parte della stessa Cancelliera. La risposta di Boris Johnson, il campione della Brexit, non si è fatta attendere con il pronostico – sempre di calcio si tratta – che le finali degli Europei di calcio a Londra sarebbero stati una festa fantastica, tale da spingerlo a consentire l’aumento della capienza dello stadio fino a 60.000 spettatori e – quasi – altrettanti biglietti per gli incassi dell’UEFA.

Da chiedersi a questo punto dov’era l’Unione Europea, quella generosa del Recovery Fund e quella un po’ pasticciona nella prima fase del reperimento e distribuzione dei vaccini, ma anche quella che ha realizzato il “green pass”, un vero passaporto europeo, per coniugare prudenza e libera circolazione. Solo negli ultimi giorni Bruxelles ha espresso le proprie preoccupazioni, come ha fatto anche l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): due Istituzioni pubbliche impegnate in una brutta partita contro la fortezza “privata” del calcio e destinate a perdere: l’UE sotto il ricatto del mito delle sovranità nazionali (quelle esaltate nella cosiddetta “Carta dei valori” delle destre europee) e del libero mercato; l’OMS per la sua natura di organizzazione internazionale, dotata di deboli poteri e malmenata dalla presidenza di Trump.

Non è stato un bello spettacolo, in particolare per i quasi 450 milioni di cittadini europei che, sprovvisti del biglietto giusto, non avevano comprato il diritto a difendersi e ad essere difesi dalle loro pubbliche Istituzioni.

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