L’esito delle elezioni nel Regno Unito non hanno riservato sorprese rispetto ai sondaggi che da tempo annunciavano una vittoria schiacciante dei laburisti e la fine dei governi conservatori dopo 14 anni.
Il partito laburista ha raggiunto la maggioranza assoluta ai Comuni e aprirà un nuovo ciclo politico, probabilmente nel segno di un rilancio di nuovi equilibri, in un Regno Unito ammaccato tanto sul versante economico e finanziario che su quello sociale. Dopo l’esperienza disastrosa degli ultimi governi conservatori, succedutisi all’indomani dell’azzardato referendum di Brexit, il Regno Unito avrà proprio nella ricerca di nuovi equilibri la sfida più importante da affrontare, evitando fughe in avanti ma anche dovendo riscattarsi dall’eredità pesante ricevuta.
Il nuovo profilo del partito laburista non annuncia forti spinte verso una politica marcatamente di sinistra, come avrebbe sognato Jeremy Corbyn, alla testa del partito tra il 2015 e il 2020, a differenza del vincitore di oggi, Keir Starmer, conosciuto come il “laburista riluttante” che, con un approccio più moderato ha conquistato 412 seggi sui 650 ai Comuni, lasciandone solo 121 ai Conservatori.
Il nuovo governo avrà molto da fare nella politica interna per ridurre le diseguaglianze impennatesi negli anni scorsi, rimettere in sesto la sanità pubblica, motivo di orgoglio per i sudditi di Sua Maestà e riaggiustare le finanze pubbliche devastate negli ultimi tempi.
Molto da fare avrà anche il governo laburista sul fronte esterno, verso un’Unione Europea in forte fibrillazione e verso gli Stati Uniti, alla vigilia di un voto presidenziale che potrebbe pesare non poco su quel “partenariato speciale” tra le due sponde dell’Atlantico.
Nei confronti dell’Unione Europea, almeno nei primi tempi, il nuovo governo britannico non sorprenderà con un ritorno dall’infelice vicenda della secessione, consumatasi nel 2020 dopo quattro anni di negoziati senza risultati soddisfacenti per il Regno Unito, in particolare sul contenzioso relativo ai confini tra le due Irlande.
Nonostante che cresca nell’opinione pubblica britannica un giudizio sfavorevole sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ci vorrà tempo per un ripensamento, anche perché in quella vicenda il partito laburista di Corbyn tenne atteggiamenti molto ambigui e ci vorrà tempo, anche per il nuovo “Labour”, a ricuperarne le conseguenze.
Ma questo non impedisce che progressivamente la Manica si restringa a poco a poco, anche per rispondere ad urgenze che si impongono al Regno Unito tanto sul versante della politica estera che della politica commerciale.
In politica estera, la guerra della Russia contro l’Ucraina ha mantenuto salda, nel quadro dell’Alleanza atlantica, l’intesa del Regno Unito con i Paesi UE a sostegno del Paese aggredito, mostrando anzi anche più determinazione rispetto ad alcuni Stati membri UE. Il Regno Unito, insieme ad importanti aiuti militari, non ha mancato di far valere la sua presenza nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e, senza enfatizzarla, la sua dotazione nucleare.
Con l’Unione Europea sarà un primo test importante verificare come potrebbero incontrarsi a metà strada la politica commerciale comunitaria, una competenza esclusiva UE, e la politica commerciale britannica che non ha incassato buoni risultati dopo Brexit e che adesso dovrà essere rivista. Ci vorrà un momento per capirlo: ha bisogno di tempo non solo il nuovo governo britannico, ma anche l’UE che non avrà presto insediata la nuova Commissione Europea e assestato il suo quadro politico, senza dimenticare che dovrà attraversare una problematica presidenza semestrale con Viktor Orban alla guida fino al 31 dicembre. E già il recente incontro del premier ungherese con Putin, non concordato in sede UE, ha mandato un segnale inequivocabile.
Ci sono molti problemi da affrontare da una e dall’altra parte della Manica, senza contare quelli che si annunciano per tutta l’Europa dall’altra sponda dell’Atlantico.