Europa in guerra?

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Arrivare a Bruxelles poche ore dopo il tragico attentato di Parigi al giornale satirico Charlie Hebdo è stata una coincidenza, ma anche un’occasione per riflettere su questa Europa e sul suo futuro.

Passata la prima comprensibile ondata emotiva e ascoltata l’unanime condanna da parte dei massimi responsabili politici dei Paesi UE, la strage di Parigi non poteva non interrogare l’Europa e le sue Istituzioni che da Bruxelles dovrebbero presidiarne la pacifica convivenza civile, salvaguardandola per il futuro. Due le prime reazioni pubbliche comunitarie: le dichiarazioni dei presidenti del Parlamento e della Commissione europea e una prima mobilitazione popolare. Le prime piuttosto rituali, in particolare quella del presidente Jean-Claude Juncker, appena più accentuata quella di Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo. Più confortante l’immediata e spontanea manifestazione popolare di piazza, non a caso proprio di fronte a questo stesso Parlamento. I giorni che verranno ci diranno quale sarà l’evoluzione della vicenda, in attesa di vedere quanto sapranno fare – più che dire – le sempre lente Istituzioni UE e quanto durerà e come si organizzerà l’indignazione popolare.

Oggi l’Unione Europea è chiamata ancora una volta a dirci a che cosa serva. Se solo a raccogliere attorno ai suoi tavoli leader europei litigiosi e prigionieri dei loro angusti elettorati locali per registrare le conseguenze di una crisi senza fine, constatare che l’UE è ormai in deflazione, esercitare pressioni sui cittadini greci alla vigilia delle elezioni politiche di fine mese e sperare che Mario Draghi ci metta una toppa con un intervento choc della Banca centrale europea. O se l’UE non debba servire prima di tutto a garantire la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, memore del  messaggio venutoci oltre due secoli fa proprio dalla Francia.

Oggi lo choc di cui l’Europa ha bisogno si chiama risanamento della sua democrazia malata, svuotata all’interno e minacciata dall’esterno, perché solo una democrazia forte e partecipata può garantire la pace a questo continente, protagonista di due terribili guerre mondiali e oggi lambito da pericolosi conflitti armati alle sue inutili frontiere del secolo scorso.

La nuova frontiera dell’Europa è quella dei suoi valori originari e di una rinnovata democrazia partecipativa: una sfida fatta di doveri, oltre che di diritti. Lo devono sapere con chiarezza i suoi cittadini, che siano indigeni o che vengano da fuori, che siano di destra o di sinistra, laici o religiosi. Non si promuove questa democrazia con misure autoritarie: il terrorismo che torna a infestare l’Europa si alimenta con la nostra intolleranza e, anche più spesso, con la nostra indifferenza alla vita di comunità.

Il cosiddetto “terrorismo molecolare” non si ferma solo con l’azione militare o di polizia, lo si contrasta prima di tutto con la creazione di una cittadinanza attiva, stimolo anche per un ritorno in vita di una politica europea di cui si intravvedono alcuni primi segnali, per ora più tra la gente che non nelle Istituzioni rappresentative delle nostre democrazie.

No, l’Europa non è in guerra, almeno non ancora. E se lo è, lo è con se stessa: un’estenuante guerra di posizione, da anni a marcire nelle trincee della crisi e dell’egoismo delle sue nazioni, incapace di alzare la testa e rimettersi in moto compatta. Solo questa ripartenza potrà fermare il terrorismo fanatico venuto da fuori, ma alimentato da dentro questa nostra Unione Europea disunita e stanca.

 

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