Europa: elezioni in prospettiva

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In una democrazia le elezioni non sono tutto, ma sono tanto. Anche quando se ne contesta il risultato, come negli USA che furono di Trump o quando vengono invocate per un chiarimento politico, come in Italia. 

Non sono meno importanti quando in Europa elezioni nazionali annunciano conseguenze importanti per il futuro del continente, dove nel 2021 andranno alle urne Olanda e Germania, ma anche il Portogallo per le presidenziali, Bulgaria, Cipro e Repubblica ceca, senza dimenticare nell’era post-Brexit la Scozia e il Galles.

Al momento l’attenzione si concentra prevalentemente su Olanda e Germania, due Paesi dalle dimensioni demografiche ed economiche non comparabili, ma entrambi Paesi fondatori delle prime Comunità europee negli anni ‘50 e riferimenti per aree politiche ampie nell’UE. Lo abbiamo constatato per l’Olanda alla guida dei Paesi autodefinitisi “frugali”, con Svezia, Danimarca, Finlandia, lo vediamo da tempo con la Germania e la sua alleanza, non senza tensioni, con la Francia e le sue attenzioni particolari ai Paesi limitrofi dell’area centrale e orientale, in particolare la sua  benevolenza con Ungheria e Polonia.

L’Olanda andrà alle urne a metà marzo e per la coalizione di centro-destra, guidata da Mark Rutte, non sarà una passeggiata: non solo per la grave crisi di governo esplosa la settimana scorsa ma anche per la riluttanza dimostrata ad aprire al Recovery Fund per il timore di perdere consensi cedendo ai governi, considerati lassisti, dell’area mediterranea. Quanto alla sensibilità europea dell’Olanda è fondata qualche preoccupazione, quando si ricorda il “no” al Progetto per una Costituzione europea.

Di gran lunga più pesante si annuncia l’impatto per l’UE delle future elezioni tedesche il prossimo 26 settembre quando, dopo 16 anni di governo, Angela Merkel cederà il posto alla Cancelleria. Se ne andrà, forse non in pensione, una protagonista centrale del processo di integrazione europea, a lungo “riluttante” ma molto attiva in questi ultimi tempi, fino alla svolta della creazione di un debito europeo da sempre ostacolato dalla Germania. Un merito che la storia le riconoscerà, senza dimenticare però i suoi lunghi anni di tiepidezza per una progressione politica dell’UE e la responsabilità in accordi europei, a tutt’oggi discutibili, come quello con la Turchia per arginare i flussi dei migranti e l’accordo commerciale di fine anno con la Cina, non particolarmente favorevole all’UE e ancor meno al rispetto dei diritti umani da parte del gigante asiatico.

La successione della Cancelliera si annuncia problematica, tanto all’interno del suo partito nel quale fervono candidature pro e contro una continuità con le politiche della Merkel, quanto alle prospettive di una futura coalizione dove peseranno i risultati in progressione dei Verdi, al punto da potersi candidare alla Cancelleria. A seconda degli esiti finali, molto potrebbe cambiare per l’Unione: con un successo dei Verdi un probabile balzo in avanti verso l’Europa politica e con la recente elezione di Armin Laschet alla testa della CDU, candidato adesso alla Cancelleria, una prospettiva di continuità con Angela Merkel.

Fuori dall’UE merita la pena segnalare le elezioni “regionali” nel Regno Unito, in particolare in Scozia, quando a inizio maggio riemergerà per Londra e Boris Johnson la spinta largamente indipendentista degli scozzesi, molti dei quali uscirebbero volentieri dal Regno Unito per rientrare come nuovo Stato sovrano nell’Unione Europea. Un esito non previsto per domani, ma in questi tempi di accelerazione della storia è meglio restare prudenti nei pronostici.

Una regola che vale sempre in questa Unione Europea inquieta e alla ricerca di un futuro oggi difficile da delineare, in casa propria e nel mondo.

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