Europa anno zero: un piano per ripartire

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Era nell’aria da tempo il bisogno – e per molti anche la voglia – di vedere ripartire l’Unione Europea dopo i lunghi anni di una crisi, aggravatasi politicamente con l’affondamento del progetto di Costituzione nel 2005 ed economicamente nel decennio 2008-2018. Un periodo non proprio felice per l’UE, né in casa propria né ai suoi confini: a una pesante crisi economica e sociale interna si erano aggiunti l’aggravamento dei conflitti nell’area mediorientale, la tormentata vicenda di Brexit e, per fare buon peso, l’irruzione di Donald Trump alla guida degli USA, mentre andava crescendo il peso economico e commerciale della Cina in un mondo minacciato dal logoramento di una cultura multilaterale che aveva contribuito non poco a una convivenza mondiale relativamente pacifica.

Una luce si era accesa a metà del 2019 con il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo e il successivo rinnovo dei Vertici delle Istituzioni comunitarie: aveva allora preso forma un programma di lavoro ambizioso che puntava a dare nuovo vigore al progetto europeo, a partire da un forte impegno per la salvaguardia del pianeta e il rilancio dell’economia. Nessuno allora poteva pensare che quelle ambizioni sarebbero impallidite di fronte alla sfida improvvisa che, a inizio 2020, avrebbe travolto la società e l’economia europea, colpita dalla pandemia del Covid-19. Quel 2020 che si prospettava come l’anno zero dell’Europa da ricostruire dopo la lunga crisi di questo inizio secolo, incombe adesso come qualcosa di peggio che uno zero: sarà l’anno del prodotto interno lordo (PIL) in caduta libera nell’UE attorno all’8%; per l’Italia vicino al 10%, con una disoccupazione che supererà probabilmente la soglia del 12%, e un debito pubblico impennato vicino al 160% del PIL.

Tale è diventato il volto di questo inatteso anno zero per l’UE, chiamata non solo a rialzarsi dalle macerie economiche e sociali degli anni scorsi, ma più ancora a reinventarsi radicalmente per avere un futuro che non sarà più quello di una volta, quando qualcuno pensava sarebbe bastato rimettere in sesto l’economia e assicurare una manutenzione ordinaria alla politica e al funzionamento delle Istituzione europee.

La risposta della Banca centrale europea alla crisi

Nell’urgenza molto è già stato fatto: molto dalla Banca centrale europea (BCE), grazie alla decisione di proseguire sulla strada tracciata da Mario Draghi, promotore di una politica monetaria espansiva, finita più di una volta sotto i riflettori della Corte costituzionale tedesca. A questa politica si riferisce la sentenza resa ieri dalla Corte di Karlsruhe: accanto a una apparente “assoluzione” delle politiche passate, viene in realtà messa sotto pressione la gestione attuale cui viene intimato di giustificare la “proporzionalità” degli interventi della BCE, sospettata di oltrepassare le sue competenze che si vorrebbero limitate alla stabilità monetaria, senza intervenire sulla crisi economica. Nel far questo la Corte tedesca rischia da una parte un grave conflitto istituzionale con la Corte europea di Giustizia, che già nel 2018 aveva giudicato corretto il comportamento della BCE, e viene meno al rispetto dell’indipendenza di cui gode la Banca centrale europea, come richiesto con forza al momento della sua creazione dalla stessa Germania. Naturale chiedersi adesso quali saranno le conseguenze di una simile sentenza che nulla può imporre direttamente alla BCE, che si è limitata a “prendere nota”, in attesa di fornire entro tre mesi la sua risposta alla richiesta tedesca di giustificare il proprio operato, risposta che potrebbe anche rifiutarsi di dare. Quello che si può temere è che il diktat della Corte tedesca finisca per imporre alla Banca centrale tedesca, la Bundesbank, di uscire dalle operazioni della BCE, con il rischio di un effetto a catena su altre Banche centrali nazionali, come accade in questi tempi di contagi non solo sanitari. Per un altro verso – a voler essere ottimisti – la sentenza potrebbe esercitare una pressione sui governi europei ad intervenire – come sollecitato a più riprese dalla stessa BCE – con proprie politiche fiscali di risposta alla crisi, attraverso il bilancio nazionale e quello comunitario, come già si era detta disponibile a fare Angela Merkel.

Il “Piano per la ripresa” atteso dalla Commissione europea  

In questo difficile contesto, toccherà nei giorni prossimi alla Commissione europea aprire il cantiere di un inedito e straordinario “Piano per la ripresa” da portare sul tavolo del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo attorno a metà giugno, confidando nella prossima presidenza semestrale tedesca, da ieri sotto messa sotto pressione dalla Corte di Karlsruhe, per trovare un accordo finale sul progetto e sulla dotazione del bilancio 2021-2027, con l’obiettivo di mandarlo rapidamente in esecuzione.

Sarà importante capire quante risorse saranno destinate a questo Piano (si punta a 2000 miliardi di euro), quale il mix tra contributi a fondo perduto e prestiti a tasso ridotto, quali priorità d’intervento e quando il Piano potrà effettivamente essere attivato.

Soprattutto però sarà importante capire quanto questo “Piano per la ripresa”, rispettoso delle diverse competenze istituzionali comunitarie, potrà fare da traino a una nuova visione di società europea, a una rinnovata concezione dell’economia, con particolare attenzione al capitale umano e alla sua formazione, per affrontare la sfida ambientale e digitale e prevenire disuguaglianze che minano la convivenza pacifica tra persone e Paesi. 

Se tutto questo avverrà, avremo risposto al timore di Churchill per il quale “le peggiori crisi sono quelle sprecate” e avremo fatto della pandemia l’occasione per il rilancio dell’Unione Europea.

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