La guerra che si sta abbattendo su Gaza dura da più di un mese, senza che si intraveda all’orizzonte il minimo spiraglio di un “cessate il fuoco” e ancor meno, tra l’intensa polvere delle distruzioni, cosa ne sarà di Gaza dopo i tentativi di sradicamento di Hamas da parte di Israele.
Ribadendo la ferma condanna delle atrocità commesse da Hamas quel 7 ottobre e ribadendo il diritto di Israele a difendersi, con il passare del tempo, la forza cieca, distruttrice e senza prospettive di questo conflitto, alimenta sempre più indignazione e interroga sul limite e sul rapporto fra diritto alla difesa e rispetto del diritto internazionale umanitario.
La comunità internazionale, quasi sorpresa che il conflitto israelo-palestinese continuasse a covare sotto le ceneri e riesplodesse con tanto odio, sia politico che religioso, si sta faticosamente accorgendo che la diplomazia della prudenza, della richiesta di pause o tregue militari per limitare i danni umanitari a Gaza, per fermare un esodo senza punto d’arrivo e per fermare il possibile incendio in Cisgiordania, non sono più strumenti adeguati a fermare la violenza in corso.
Eppure, la richiesta di “cessate il fuoco”, non esce dalle labbra della diplomazia occidentale, da quelle degli Stati Uniti, del recente G7, dell’Unione Europea. Sembra quasi una richiesta troppo esigente, imbarazzante e alla quale Israele ha sempre opposto un netto rifiuto, totalmente impegnato verso quelle che ritiene essere le uniche opzioni possibili, “la vittoria” e la “distruzione di Hamas”. Opzioni senza mediazione, senza orizzonte politico di negoziato per impostare una futura convivenza e che potrebbero allargare gli scenari di guerra nell’intera regione. Ma anche opzioni che interrogano sulla possibilità di negoziare e collegare un cessate il fuoco con la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.
Per dare una risposta a tali orrori, quella stessa diplomazia, si è riunita insieme ad altri responsabili politici per dar vita alla Conferenza umanitaria che si è tenuta a Parigi il 9 novembre scorso su iniziativa del Presidente Macron. Nella sua evidente fragilità, la Conferenza ha tuttavia deciso di contribuire, con un miliardo di dollari, a far fronte alla grave crisi della popolazione di Gaza, promettendo aiuti che potrebbero avere un senso se riuscissero, prima di tutto, ad entrare nella Striscia in una di quelle brevi “pause umanitarie” concesse. Niente di più, se non la dichiarazione di un impegno per raggiungere il cessate il fuoco.
Negli stessi giorni in cui si svolgeva la Conferenza umanitaria di Parigi, si riuniva a Riyad, in Arabia Saudita, un Vertice inedito fra Paesi membri della Lega araba e Paesi dell’Organizzazione della Cooperazione islamica per cercare di trovare una posizione condivisa nei confronti della guerra, Paesi non proprio uniti da interessi comuni ma piuttosto divisi da storiche divergenze regionali. Oltre all’Arabia Saudita, erano presenti infatti, fra altri, Iran, Turchia, Egitto, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Autorità palestinese, Paesi che, come prevedibile, anche se con toni più o meno intensi, hanno preso una posizione di condanna nei confronti dell’offensiva militare di Israele, senza tuttavia giungere a strappi diplomatici. Hanno richiesto un immediato cessate il fuoco e la fine delle operazioni militari nella Striscia per creare le condizioni di passaggio dell’aiuto umanitario a Gaza e hanno lanciato un appello, all’insieme della comunità internazionale, per il rilancio del processo di pace e permettere la creazione di uno Stato palestinese accanto ad Israele.
Se da una parte le divergenze fra i Paesi della regione sono a volte profonde, dall’altra è in gioco tutta la stabilità regionale e tutti gli interessi di alcuni Paesi nel percorso di avvicinamento a Israele. In questo contesto una soluzione al conflitto israelo-palestinese diventa ormai di primaria importanza per i Paesi arabi e musulmani, in particolare per l’Arabia Saudita, impegnata sui fronti di una distensione delle sue relazioni con l’Iran, di una normalizzazione con Israele e di un rafforzamento del patto di sicurezza con gli Stati Uniti.