E l’Europa torna in copertina

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Assomiglia a una metafora il ritorno dell’Europa in copertina di un importante settimanale italiano, domenica scorsa, orfano per uno sciopero del quotidiano suo gemello, alle prese con nuove turbolenze editoriali.

Il 19 maggio scorso il titolo del settimanale era “Nostra Patria Europa” e tradiva speranze nell’esito delle elezioni per il Parlamento europeo, in buona parte esaudite dal voto. Quest’ultimo numero ha toni più urlati, un secco “Sgovernati” a caratteri cubitali, con i profili ammaccati dei governanti di Italia, Spagna, Regno Unito e Germania e un sottotitolo con poche sfumature: “Elezioni a vuoto. Stati nazionali fragili. Premier senza maggioranza. Società in crisi. Da Madrid a Londra, da Berlino a Roma, l’Europa della politica sta crollando”. Nella lista manca solo “Bruxelles in panne” e il necrologio è quasi completo.

Intendiamoci, non che quelle secche considerazioni, meglio argomentate negli articoli che seguono, non abbiano fondamento, anzi. Colpisce, e si capisce, il contro-canto alla celebrazione retorica dei giorni scorsi in occasione dei trent’anni dall’abbattimento del Muro di Berlino, che però già in molti avevano accompagnato con valutazioni preoccupate sul futuro dell’Unione. Qualcuno fino a paventare il rischio che l’abbattimento del Muro possa essere stato preludio per l’abbattimento dell’Unione, con i suoi nuovi muri e l’inasprimento delle sue faglie sismiche che ne minacciano la stabilità.

Si moltiplicano da più parti le grida di allarme sul futuro dell’Unione Europea, prima o poi qualcuno ci dirà, come Emmanuel Macron per la NATO, che ormai anche l’UE è in stato di “morte cerebrale”, senza dimenticare che lo stesso Macron, poco dopo la sua elezione, davanti al Parlamento europeo evocò per l’Europa il rischio di “guerra civile”.

Soccorrono in questo clima di nero pessimismo le parole di un filosofo proprio nell’articolo di apertura che il settimanale in questione consacra al “dossier Europa”, quasi un’eco aggiornata del “De consolatione philosophiae”, confortante viatico per  tempi turbolenti.

Si tratta di un articolo che meriterebbe di essere riprodotto integralmente, anche perché di facile comprensione e largamente condivisibile da chi non crede che la “storia sia finita”, ma crede che per l’Europa “un’altra storia” sia possibile e che, come diceva Gianbattista Vico, quelle che parevano traversie erano invece opportunità.

Come ci ricorda questo nostro filosofo contemporaneo che, nella crisi grave in cui versa l’Europa, vede l’occasione per chiarirci quale progetto di integrazione vogliamo perseguire, quella di un’Unione federale, non certo quella che vogliono gli “Stati governati in forme anti-federalistiche”.

E perché il messaggio sia chiaro, non esita a ricordare a Consiglio europeo, Commissione e Parlamento che avrebbe dell’incredibile non sforzarsi di “interpretare come doglie del parto di una nuova Europa ciò che accade in Catalogna, Scozia e altre nazioni europee dieci volte più europeiste di Spagna, Inghilterra, ecc.”.

Per concludere con parole da filosofo antico: “Apprendano dunque l’arte maieutica i politici e le élites europee. Ascoltino nella crisi le doglie del parto… Ascoltino il vagito dell’infante piuttosto che le decrepite paure del sopravvissuto”.

Siamo al tramonto di una vecchia Europa, lavoriamo per l’alba di una nuova Unione. Ne hanno bisogno i suoi cittadini, ne ha bisogno l’Italia e ne ha bisogno anche il mondo, oggi “sgovernato” anche più dell’Europa.

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