Tempi difficili per il futuro “governo” UE

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L’appuntamento in cima alla prima salita per l’insediamento del futuro “governo” dell’Unione Europea, la Commissione UE guidata da Ursula von der Leyen, sarà il 27 novembre prossimo, con il voto finale del Parlamento europeo. Salvo imprevisti, quel voto dirà su quale maggioranza politica potrà contare la nuova Commissione mandare in esecuzione il suo ambizioso programma.

Vale la pena fare un passo indietro per capire come siamo arrivati a questo appuntamento, una strada in salita che lascia presagire giorni difficili per la nuova legislatura che già parte con un mese di ritardo sul calendario previsto. 

La vicenda ha origini lontane e cause vicine. Viene da lontano e proseguirà nel tempo la tensione nel “triangolo istituzionale” dell’Unione dove si contendono quote di potere la Commissione europea, unica detentrice del potere di iniziativa; il Parlamento, la sola Istituzione UE legittimata direttamente dal suffragio universale europeo e il Consiglio europeo, espressione dei governi nazionali. Si tratta di una tensione che si è andata modificando nel tempo con una costante crescita del potere del Parlamento nei vent’anni a cavallo del secolo, un progressivo indebolimento della Commissione in questi ultimi anni e una contemporanea forte ripresa di potere da parte dei governi nazionali nel processo decisionale, al punto da far parlare con ragione di una “deriva intergovernativa” della vita comunitaria.

In questo scenario istituzionale è maturato il “delitto” del luglio scorso, quando il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo hanno mortificato il Parlamento – e, con esso, il voto democraticamente espresso dagli elettori europei a fine maggio – rifiutando di designare alla Presidenza della Commissione europea – una sorta di “governo UE – uno tra i candidati di punta vittoriosi alle elezioni, preferendo loro una signora, Ursula von der Leyen, ministra tedesca della difesa, che non aveva nemmeno partecipato alla competizione elettorale europea.

Le responsabilità di tale decisione, causa di un inasprimento della tensione tra le Istituzioni UE, è in capo ai “grandi elettori” campioni delle sovranità nazionali, poco disponibili a veder crescere quella “sovranità europea” che, alcuni di loro, dicono di voler promuovere. Si è distinta, come al solito, in questo abuso di potere nazionale la coppia franco-tedesca, nonostante la crisi che vive ormai da tempo e che sembra crescere con il passare dei giorni. 

Sul banco degli imputati la cancelliera Angela Merkel, indebolita e in difficoltà a difendere il suo candidato, quel pallido Manfred Weber arrivato primo nella prova elettorale, ma bisognosa di affermare il ruolo della Germania occupando la Presidenza della Commissione, e il presidente francese, Emmanuel Macron, ostile alla candidatura di Weber e più ancora alla ripresa di potere del Parlamento. E’ così saltata fuori dal cilindro della coppia di maghi, la designazione di Ursula von der Leyen, subita dalle principali famiglie politiche europee, salvo dal Partito popolare da cui la Presidente proviene, che l’hanno di malavoglia sostenuta con un voto risicato, in attesa di controllarne da vicino l’operato ancor prima che si insediasse.

Ed è nell’attesa di questo insediamento, rinviato probabilmente al 1° dicembre se non oltre, che le cose si sono ulteriormente complicate: tre suoi candidati commissari sono stati rispediti al mittente, in particolare la candidata francese, un chiaro regolamento di conti del Parlamento nei confronti del presidente Macron. A complicare le cose la mancata designazione del commissario britannico che Londra, in attesa della conclusione di Brexit si rifiuta di nominare, mettendo a rischio la validità giuridica del futuro operato della Commissione, se privata del componente di un Paese ancora membro UE.

E’ evidente che non si placherà presto questa tensione istituzionale che  indebolisce Ursula von der Leyen e toglie forza al governo complessivo dell’Unione proprio in una stagione nella quale sarebbe urgente venisse rafforzato. Una traversia che è anche un’opportunità: quella di chiarire le regole democratiche in seno all’UE, prima che sia troppo tardi.

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