Non si placano le reazioni e i commenti al penoso episodio di Ankara, la settimana scorsa, quando al vertice UE-Turchia per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è stata “dimenticata” una sedia su cui prendere posto, con pari dignità rispetto ai due uomini, tranquillamente seduti ad osservare la scena.
Tralasciamo i commenti sul “sultano” turco Erdogan, noto per il suo atteggiamento verso le donne e sul tema della parità di genere, oltre che sulle sue disinvolture nell’interpretare lo Stato di diritto, anche se quando si ospita sarebbe naturale fare almeno prova di buona educazione.
Diversamente serio e grave il caso del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, di cui si suppone l’adesione ai valori dell’Unione Europea, oltre che la buona educazione. Su entrambi i fronti Michel si è dimostrato il pallido personaggio che altri potenti d’Europa hanno sistemato su quella poltrona, sicuri che non avrebbe disturbato i veri “manovratori” europei. E invece, con quel gesto mancato, Michel ha disturbato non poco il complesso universo UE, tanto a livello comunitario che a quello nazionale.
A livello comunitario si sono fatti sentire con vigore Gruppi politici del Parlamento di Strasburgo, con la voce dei leader del Partito popolare europeo (PPE), da cui proviene la presidente della Commissione, e dei Socialisti e democratici, tra questi è anche stata avanzata la richiesta di europarlamentari italiani di dimissioni da parte del presidente del Consiglio europeo. Sarà interessante vedere come reagirà a breve il Parlamento europeo nella sua seduta plenaria, anche se è chiaro che forti fibrillazioni sono in corso nelle Istituzioni UE e non si placheranno presto.
A livello dei governi nazionali è rimbombata, non solo in Turchia, la voce del Presidente Mario Draghi che, senza tanti complimenti, ha chiamato “dittatore” il sultano turco, innescando tensioni sul versante diplomatico e inquietando non poco anche gli ambienti economici italiani che con la Turchia hanno avuto, nel 2020 nonostante la pandemia, un interscambio di circa 15 miliardi di euro.
Difficile pensare che Draghi, con la sua esperienza politica a livello mondiale, possa aver pronunciato con leggerezza quelle parole. Se questo non fosse, siamo allora di fronte a una novità politica importante nell’UE: Draghi si sarebbe smarcato dalle infinite prudenze dei vertici comunitari, sotto ricatto turco, confermando così ulteriormente il ritorno in gioco dell’Italia nella disordinata partita europea nella quale, troppo a lungo, siamo stati seduti in panchina a guardare gli altri.
Gli altri erano soprattutto due, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, la prima in uscita dalla Cancelleria fra qualche mese e il secondo a poco più di un anno da elezioni presidenziali dall’esito incerto. Come dire che l’Italia potrebbe ritrovare forza in occasione della somma di quelle due debolezze, per quanto provvisorie. Si tratta di una pista che potrebbe modificare equilibri politici nella “democrazia imperfetta” dell’Unione Europea, all’interno della dialettica complessa, ma anche poco trasparente, tra il Parlamento europeo, la Commissione e i governi nazionali, rappresentati ad Ankara dal non proprio brillante Michel.
Erdogan ne ha approfittato per interrogare l’Italia sullo stato, presente e nel recente passato, della sua vita democratica e potrebbe abbondare in questo senso anche a proposito dell’Unione Europea, dove ha due colleghi complici in Polonia e Ungheria, approfittando anche di un assetto istituzionale europeo non proprio chiarissimo sulla distribuzione e il rispetto delle responsabilità e della gerarchia dei poteri come, a suo modo, ha dimostrato anche l’incidente della sedia mancante.
Anche se la lezione viene dal pulpito sbagliato, sarebbe bene cogliere un segnale che viene dall’esterno, insieme ai molti che si moltiplicano anche in casa nostra, dove la democrazia ha bisogno di molto di più di una sedia su cui appoggiarsi.