Diari di guerra 4 – Alimentazione mondiale in ostaggio

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Sono trascorsi più di cento giorni dall’aggressione della Russia all’Ucraina e, al di là di tutti gli orrori già abbondantemente riportati dai media sul terreno, si fa sempre più evidente una delle più gravi conseguenze di questo conflitto: una crisi alimentare per milioni di persone nel mondo. È l’accorato campanello d’allarme dell’ONU e in particolare della FAO, particolarmente preoccupati dell’impatto della guerra sull’Africa e sui Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. 

Ricordiamo qui alcune cifre: prima della guerra, l’Ucraina rappresentava il quarto esportatore mondiale di grano e mais a livello globale, mentre Russia e Ucraina, insieme, esportavano circa il 30% di tali prodotti. Non solo, ma l’Ucraina rappresentava anche circa il 50% del commercio mondiale di semi e di olio di girasole e il blocco delle esportazioni alimentari dovuto alla guerra e al blocco dei porti ucraini, ha fatto lievitare i prezzi a livelli proibitivi per i paesi importatori netti, come appunto la maggior parte dei Paesi africani. A questa situazione, che, secondo le previsioni della FAO potrebbe interessare dagli otto ai tredici milioni di persone in più nel corso dei prossimi mesi, si aggiungono i problemi di siccità, di riduzione delle terre coltivabili e di mancanza di fertilizzanti. Ad esempio, Eritrea e Somalia dipendono interamente dalle importazioni di grano da Russia e Ucraina, ma anche, almeno per tre quarti del loro fabbisogno, egiziani e libanesi e oltre 26 Paesi africani e del Sud Est asiatico per almeno la metà delle loro necessità.

La situazione in prospettiva è chiaramente drammatica e la recente storia ci riporta a periodi quali le 

“rivolte della fame” del 2008 in tanti Paesi e soprattutto all’inizio delle primavere arabe nel 2011, con tutte le conseguenze che conosciamo. Ed è in questo contesto che venerdì 3 giugno il Presidente del Senegal, nonché Presidente dell’Unione Africana, Macky Sall, ha incontrato a Sochi Vladimir Putin. Se da una parte Sall ha prudentemente ricordato a Putin l’impatto sull’Africa dell’offensiva russa in Ucraina, dall’altra ha ricordato al Presidente che “la maggioranza dei Paesi africani si era astenuta dal condannare la Russia” in occasione dei due voti all’ONU e che “l’Africa, insieme a Paesi del Medio Oriente, dell’Asia e dell’America Latina, vale a dire una buona parte dell’umanità, aveva preferito rimanere fuori da questo conflitto”. 

Parole che non hanno bisogno di grandi commenti e che la dicono lunga sull’uso delle derrate alimentari e, in ultima analisi, dello spettro della fame come arma di potere e di forza in un contesto geopolitico in fermento e in un mondo fortemente interconnesso. Alla fine dell’incontro Sall ha dichiarato tutta la sua soddisfazione per le rassicurazioni di Putin, mandando nello stesso tempo un messaggio all’Occidente sui lunghi effetti delle sanzioni alla Russia, cosa che non ha fatto altro che irrobustire la portata del ricatto che la Russia esercita attraverso questa sciagurata guerra.

Un ricatto che, a volte, indossa il velo della diplomazia: sembra infatti aprirsi uno spiraglio di negoziato fra Mosca e Kiev, grazie alla mediazione della Turchia, su un “corridoio per il grano da Odessa”, mentre alcune navi russe, cariche di cereali, sarebbero già dirette verso l’Africa. Un corridoio praticabile tuttavia solo se verranno rimosse le mine che circondano il porto di Odessa, un’operazione che inquieta gli ucraini, i quali temono possa favorire ulteriori attacchi da parte della Russia. Ma anche un’operazione che se, da una parte mette in evidenza tutto l’interesse e l’impegno diplomatico della Turchia al riguardo, dall’altra fa risuonare la voce degli Stati Uniti che invita l’Africa a rifiutare l’acquisto del grano portato dai russi e ritenuto sottratto agli ucraini. 

Ed è così che si sta giocando la macabra partita di questa guerra con l’arma di una crisi alimentare, un’arma ancor più micidiale di tanti cannoni. 

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