Democrazie in salute precaria

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Fra poco più di due mesi saranno vent’anni che è caduto il Muro di Berlino e con esso l’impero sovietico, con il conseguente e ancora incompiuto ridisegno della geopolitica mondiale. Chi ha memoria ricorda almeno qualcosa di quei giorni di fine 1989 quando furono in molti ad annunciare la vittoria finale del capitalismo e, con esso, della democrazia. Qualcuno negli USA – un nome per tutti, quello di Francis Fukuyama – non esitಠa sentenziare che la storia era finita. Adesso siamo tutti consapevoli non è proprio andata così: da oltre un anno il capitalismo del «libero mercato» ha dato tutta la misura della sua fragilità   e dei disastri di cui è capace una finanza ed un’economia senza regole.
Non è andata molto meglio per la crescita della democrazia nel mondo: sono ormai lontani i tempi radiosi del suo ritorno in America Latina (con poche felici eccezioni come quella del Brasile), sappiamo tutti come sia evoluta la solitaria politica imperiale USA fino a pochi mesi fa, quanto il singolare sviluppo capitalista della Cina abbia poco fatto crescere la democrazia per non parlare della sua cronica malattia nella maggior parte dei Paesi africani.
Nà© ci arrivano buone notizie sulla salute della democrazia da Paesi a noi più vicini.
Ai confini dell’Unione Europea non sono certo democrazie esemplari quelle della sponda meridionale del Mediterraneo, dall’Algeria alla Siria, passando per la Libia e l’Egitto, nà© quelle di Paesi ad Est dell’UE come la Russia di Putin, la Bielorussia di Lukashenko o molti Paesi dell’Asia Centrale. E sempre nei nostri dintorni, l’andamento delle consultazioni elettorali in Iran ieri, in Afghanistan oggi e, probabilmente, in Iraq domani mandano segni inquietanti per il futuro di quei popoli e per la stabilità   del mondo intero.
Qualche «anima bella» magari pensa che tutt’altra è la musica in Europa: elezioni a tutti i livelli territoriali – dagli enti locali all’Unione Europea – avvengono senza sospetti di irregolarità   formali e sembrano ottemperare alle regole della democrazia rappresentativa. Con perಠalmeno due problemi: da una parte esiti inquietanti sul ritorno di famiglie politiche non proprio di casa con la democrazia, come i partiti neonazisti in Germania e quelli xenofobi in Olanda e Belgio, e dall’altra con uno scarso vigore della democrazia partecipativa come attestano i crescenti fenomeni dell’astensionismo, dell’antipolitica e dell’indifferenza civile.
Ma un male forse anche più insidioso mina le democrazie europee. Lo denuncia con chiarezza un politologo tedesco, Herfried Moeunkler (autore di Imperi. Il dominio del mondo dall’antica Roma agli Stati Uniti, ed. Il Mulino): «Negli ultimi anni sono penetrate nell’ambito costituzionale dell’Europa forme di culto della personalità   e di corruzione politicaà¢à¢â€š¬à‚¦ L’Unione Europea ha valutato male le proprie possibilità  , credendo che la democrazia, una volta conquistata, non si potesse perdere ma solo esportare. E invece l’ordine politico ha una forma precaria: esso va riconquistato e rinnovato continuamente». Per continuare poi sul ruolo che nella corruzione della democrazia hanno avuto i mezzi di comunicazione di massa e in particolare la televisione, responsabile di «istupidire i processi di decisione politicaà¢à¢â€š¬à‚¦ e conferire al singolo politico la possibilità   di vestire i panni del rinnovatore, permettendogli di sviluppare una forza persuasiva che spazza via la riflessione su quanto un atteggiamento simile sia possibile o ragionevole e quali siano i suoi costi e le sue conseguenze».
Non stupisce che i Paesi europei presi di mira da questa analisi siano in particolare la Francia, con la figura ultra-presidenzialista di Sarkozy, e l’Italia del padrone delle televisioni. Non è un caso perಠche, con una gravità   senza paragoni, il Paese più avanzato sulla strada della corruzione politica in Europa sia il nostro, dove l’attacco alla libertà   di informazione costituisce un segnale inequivocabile.
Molto di quello che sta avvenendo in questi giorni in Italia è fuori da ogni decenza e già   ampiamente estraneo al rispetto della democrazia sostanziale oltre che di quella formale, proiettando ombre inquietanti sul futuro della convivenza civile e della coesione nel nostro Paese.
Spesso si è additata l’Italia, anche a sproposito, come un «laboratorio politico». Per il nostro Paese, per l’Europa e per i resto del mondo ci resta da sperare che questa volta il «laboratorio politico» non sia la punta avanzata di quel declino dell’Occidente che Oswald Splenger designava come il «ritorno degli zar».

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