“L’Italia non è la Grecia”, hanno ripetuto in questi giorni voci autorevoli: tra queste, le perentorie dichiarazioni del Presidente Giorgio Napolitano e del Presidente del Consiglio Mario Monti; affermazioni analoghe anche da fonti di Bruxelles, ma con toni meno rassicuranti e qualche “distinguo”.
L’insistenza sul tema induce a qualche considerazione, per cercare di rispondere a una domanda nell’aria: “L’Italia non è più la Grecia o non lo è ancora?”.
Mentre l’accanimento su una Grecia stremata da una recessione, avviata verso la depressione, non basta ancora ai ministri dell’Eurogruppo e alla Germania e mentre l’Italia è sempre sotto i riflettori, possono essere utili alcune considerazioni su differenze e somiglianze tra i due Paesi.
Da una parte l’Italia, Paese fondatore dell’UE con una popolazione di circa sessanta milioni di abitanti, presente nell’euro fin dalla sua nascita, quarta economia europea con una forte dimensione manifatturiera e con un deficit relativamente contenuto in questi ultimi anni; dall’altra la Grecia, un Paese “fondatore” della cultura europea, poco più di 11 milioni di abitanti, entrato nell’euro nel 2002, detentore di appena il 2,5% del PIL europeo, con una forte incidenza del turismo e dei servizi e un deficit doppio di quello dell’Italia.
Un punto accomuna, in parte, i due Paesi: un debito pubblico di enormi dimensioni, pari a 120% sul PIL per l’Italia, oggi tenuto a freno ma senza riduzione, e ormai oltre al160% per la Grecia, in costante crescita. Per il debito complessivo della zona euro il debito italiano rappresenta il 23%, quello greco appena il 4%.
E’ più complesso il raffronto sul piano politico. Senza dimenticare che la Grecia è colpevole di avere per anni truccato i conti – un’accusa pesante, dalla quale è immune l’Italia – va rilevato che la politica greca di questi ultimi tempi soffre di un’instabilità acuta e ad aprile andrà a elezioni anticipate in una situazione di gravi tensioni sociali.
L’Italia viene invece da un lungo periodo di stabilità politica, seppure poco benefica per la nostra economia, con una contenuta conflittualità sociale e vive da alcuni mesi con un governo “tecnico”, in supplenza della politica, con una naturale scadenza di legislatura, salvo imprevisti, nel corso del 2013.
Come si vede sono molte le somiglianze, ma forse molto più importanti le differenze che sembrano per ora mettere l’Italia al riparo da una “deriva greca”, soprattutto se l’attuale governo riuscirà a condurre in porto le riforme strutturali e a ridurre progressivamente il debito pubblico.
Ma un dubbio resta: l’accanimento fuori misura di cui è stata oggetto la Grecia ha tanto il sapore di un avvertimento, oltre che di una punizione insopportabile, per chi è ritenuto responsabile di un indebolimento dell’euro, se non addirittura di un suo fallimento. Perché è dall’eurozona che vengono le pressioni su Atene, non dall’UE nel suo insieme, dove la permanenza della Grecia non è a rischio, né lo è la solidarietà europea verso la popolazione greca attraverso i suoi normali strumenti finanziari.
Viene da pensare che sia in corso – lo suggeriscono soprattutto i comportamenti di Germania, Francia e Olanda – un’operazione di “sganciamento pilotato” della Grecia dall’euro nei prossimi mesi, come preludio alla formazione di un’eurozona limitata ai Paesi UE con i conti in ordine e con un euro “forte”, perno di un “nucleo duro” di una futura Europa politica.
Che di questo “nucleo duro” l’Italia possa far parte non è ancora detto: dipenderà dai risultati raggiunti dal governo Monti, mentre già gioca in favore dell’Italia una ritrovata credibilità internazionale e il nuovo ruolo-ponte che potrebbe svolgere all’interno dell’UE e nei rapporti con gli USA, come ha messo in evidenza il recente incontro Monti-Obama.
Ma anche per l’Italia è ancora inverno, bisognerà aspettare la primavera-estate per capire se questi primi germogli porteranno frutti.