Da Strasburgo quasi un’Enciclica sull’Europa

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Negli oltre sessant’anni di vita dell’avventura comunitaria, è solo la seconda volta che un Papa prende la parola al Parlamento europeo. La prima fu, nel 1988, quella di Giovanni Paolo II, la seconda quella di papa Francesco martedì scorso, prima di rivolgersi al contiguo Consiglio d’Europa e poche ore prima di volare in Turchia, un Paese ancora candidato a entrare – quando non si sa – nell’UE.

Non male per un Papa non più giovane e alle prese con molte nuove sfide per la Chiesa cattolica. Non che dell’Europa papa Francesco non si fosse finora interessato. Era stato nel cuore dell’Europa quando si era recato a Lampedusa, in quel “cimitero di migranti” che sta diventando il Mediterraneo e poi sul ciglio dell’UE in occasione della sua visita, pochi mesi fa, in Albania.

Ma Strasburgo è per l’Europa un luogo altamente simbolico: è la sede di importanti istituzioni internazionali, ma è anche una città che da oltre un secolo è stata al centro di ripetuti conflitti armati tra la Germania e la Francia. Per papa Francesco una tribuna importante, occasione per un messaggio forte all’Europa e al mondo e l’attesa non é stata delusa.

Con la franchezza alla quali ci ha abituati, papa Bergoglio ha elencato dell’Europa meriti e problemi: i primi prevalentemente reperibili nel suo passato, i problemi quelli del presente e del futuro di questo continente.

Un discorso largamente apprezzato dagli eurodeputati, a tratti di più nei banchi della sinistra che non in quelli della destra, in particolare quando ha invitato l’UE a non mettere al centro della politica l’economia ma la dignità della persona. Un discorso certamente di ispirazione pastorale, ma anche con una forte valenza politica: un invito a ristabilirne il primato sull’economia, senza cedere alle derive della burocrazia e dei tecnicismi.

In continuità con i suoi predecessori non è mancato il richiamo alle radici religiose dell’Europa ma anche ai suoi valori umanistici da riscoprire e portare al centro del progetto politico, a salvaguardia della pace in un continente da sempre dilaniato dalla guerra.

All’Unione Europea, paralizzata dai problemi finanziari e soffocata da anni di austerità, il Papa ha ricordato la centralità della persona e del lavoro, con l’impegno a cercare “nuovi modi per coniugare flessibilità del mercato e necessaria stabilità e certezza delle prospettive di impiego, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori”.

Molto dovranno far riflettere i responsabili politici dell’UE quelle parole sui “grandi ideali che hanno ispirato l’Europa e che sembrano aver perso la loro forza attrattiva in favore della tecnica burocratica delle sue istituzioni” e sulle derive individualiste di quella che, fino a non molto tempo fa, si faceva chiamare “comunità” e che oggi produce solitudine e scarsa attenzione per i poveri, i migranti e gli anziani, “oggetti” di cui sbarazzarsi.

Forte è stato anche l’appello in favore di “questa nostra terra che ha bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato… Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo padroni. Custodi, non padroni”. E qui papa Francesco, severo su altri temi, ha avuto parole di elogio per questa “Europa che è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno in favore dell’ecologia”.

Non tutto va male in questa Europa, guardata con affetto e preoccupazione dal papa argentino che la invita a cambiare: “È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede”.

Già in molti, nelle recenti elezioni europee, avevano manifestato l’esigenza e l’urgenza di mettere mano a un’altra Europa, più vicina ai suoi cittadini: da oggi la loro richiesta può contare su un nuovo “Padre fondatore”, venuto dalla “fine del mondo”, da terre che da questa Unione si aspettano ancora molto.

1 COMMENTO

  1. E’ probabile, a mio avviso, che il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il 1°dicembre 2014 a Roma in Senato, nella riunione plenaria della Conferenza degli Organi Parlamentari specializzati negli Affari dell’Unione dei Parlamenti dell’Unione Europea(Cosac)- fermo restandogli ancora l’eco di Papa Francesco a Strasburgo – ha voluto ripetere che “l’Europa è a un bivio e deve cambiare verso”.

    E Matteo Renzi è stato anche incisivo – ma solo e ancora a parole – nella sua proposta dichiarando che” il piano Juncher dei 300 milioni di euro va nella direzione giusta ma che a nostro giudizio va rafforzato” sottolineando la “necessità di fare investimenti senza i quali non c’è futuro”.

    Ma concretezza operativa “sostenibile” vorrebbe non solo dire e ripetere quelle stesse necessità declamate quanto, ancor più, nell’avere capacità politica per indicare una “graduale via di uscita” che, ancora, nessuno indica.

    Una via di uscita che pur complessa e difficile ma non impossibile in presenza della crescente “crisi sociale e del lavoro” che – innanzitutto – dovrebbe favorire e non allontanare le parti sociali con i sindacali dei lavoratori già in azione anche in questa seconda quindicina di dicembre.

    Anche perché – oggi – nessun Paese europeo da solo è in grado di uscire dalla crisi sociale e del lavoro, che si prevede non breve, nel nostro continente europeo e in Italia – giorno dopo giorno – sempre più crescente.

    A fronte di un rischio nella coesione sociale – non solo a mio avviso – si dovrebbe sostenere e ribadire ed estendere la proposta di una analogo “piano marshall europeo” che già nella primavera del 1948 fu determinante per la ricostruzione dei Paesi europei devastati dalla seconda guerra mondiale.

    Ed ecco, quindi, Presidente Renzi la necessità di “cambiare verso” con una coraggiosa scelta di politica sociale e del lavoro, mediante investimenti certi, da dimensionare e modulare, partendo da un praticabile “piano di sviluppo integrato italiano” che potrebbe assumere e favorire una priorità essenziale quale “momento unitario” – indispensabile – anche per l’incisivo e responsabile ruolo del Sindacato dei lavoratori nel nostro Paese, che in collegamento contestuale – da condividere con i Sindacati democratici europei e tra parti sociali – elaborare e proporre a Bruxelles un “piano europeo di sviluppo della economia e del reddito con il lavoro contrattato e partecipato”.

    E Papa Francesco, io penso, condividendo anche con Renzi e con i cittadini europei “la via in direzione giusta” con i primi 300 milioni dell’Unione Europea- da rafforzare – verso investimenti produttivi quel “piano europeo” straordinario potrebbe avere – subito – il giusto segnale – forte e positivo – verso l’auspicata “edificazione di bene comune” sollecitata il 25 novembre 2014 anche a Strasburgo dal Vescovo di Roma.
    Donato Galeone

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