Il 1° agosto 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza destinata a ridisegnare le politiche migratorie degli Stati membri. Al centro del caso, due cittadini bangladesi intercettati in mare e trasferiti in Albania sulla base dell’accordo Italia-Albania siglato dal governo Meloni. La Corte ha stabilito che la designazione legislativa di un paese terzo come “sicuro” non può avvenire senza un reale ed effettivo controllo giurisdizionale. In altre parole, il Parlamento o il governo di uno Stato membro non possono decidere arbitrariamente – con una legge o un decreto – quali paesi siano sicuri per rimpatriare richiedenti asilo. La decisione deve poggiare su fonti trasparenti, aggiornate e accessibili, tratte da organismi internazionali come UNHCR, EASO o il Consiglio d’Europa, e deve essere verificabile da un giudice.
Secondo la Corte, il principio del contraddittorio deve essere garantito: chi richiede protezione deve poter contestare la presunta “sicurezza” del proprio paese, anche con prove individuali, e i tribunali devono poter riesaminare la legittimità della designazione. Inoltre, la Corte ha ribadito che la sicurezza deve essere generalizzata e costante sull’intero territorio del paese terzo, e non limitata a una regione o a determinati gruppi. Non sono ammesse semplificazioni: una classificazione parziale equivale a una violazione del diritto europeo.
La sentenza mina alla base una delle strategie più usate da alcuni Stati, tra cui l’Italia, per gestire rapidamente le domande d’asilo attraverso liste di “paesi sicuri”. Negli ultimi anni, governi nazionali hanno approvato elenchi dove figurano paesi come Bangladesh, Tunisia, Nigeria o Albania, con l’obiettivo di velocizzare il rigetto delle richieste e procedere al rimpatrio dei migranti. Ma con questa decisione, la Corte di Giustizia impone un freno netto: serve un controllo sostanziale, non una scorciatoia normativa.
Per l’Italia – che aveva affidato alla legge il compito di etichettare interi paesi come “sicuri” per velocizzare le espulsioni e legittimare l’esternalizzazione dei migranti in Albania – si tratta di un colpo durissimo. Non solo la Corte pone seri dubbi sulla tenuta giuridica dell’accordo con Tirana, ma apre anche la strada a una raffica di ricorsi interni da parte di richiedenti asilo esclusi sulla base di classificazioni ora potenzialmente illegittime. I giudici italiani, secondo Lussemburgo, hanno non solo il diritto, ma il dovere di verificare caso per caso se la presunta “sicurezza” di un paese regga davvero.
I Paesi che hanno puntato tutto sulle scorciatoie legislative per liberarsi in fretta dei migranti si ritrovano ora con una sentenza che gli sbarra la strada.
Per info e approfondimenti: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=303022&doclang=IT