Come nasce la politica di difesa europea

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La guerra in Ucraina ha provocato, tra molto altro, un balzo in avanti verso una politica comune europea della difesa. Se ne annuncia una nascita senza festa, tardiva e prematura.

Tardiva perché la Comunità prima e l’Unione Europea poi hanno tardato ad aprire questo problematico cantiere e quando ci hanno provato nel 1954, con il progetto di Comunità europea della difesa (CED), hanno scontato il rifiuto della Francia, affidandosi senza altre alternative possibili alla Nato, guidata dagli Stati Uniti e durata fino ai giorni nostri.

Per un altro verso adesso la nascita si annuncia prematura, non perché non sia urgente, ma perché rischia di avvenire in condizioni che non assicurano alla fragile creatura una buona salute e una lunga vita. 

Le condizioni di questo parto, atteso da anni, le ha imposte l’aggressione russa all’Ucraina in risposta a una pretesa pressione della Nato ai confini della Federazione russa, con il coinvolgimento inevitabile dell’Unione Europea, in presenza di una richiesta dell’Ucraina di aderire all’Alleanza atlantica e all’UE. La risposta di Bruxelles è stata quella di aprire una prospettiva di adesione all’UE, accompagnandola con un inatteso e contenuto sostegno militare all’Ucraina, al quale hanno fatto riscontro analoghi interventi dei Paesi membri UE e, in particolare, la decisione della Germania di aumentare di 100 miliardi il proprio bilancio della difesa.

Per capire qualcosa di più può essere utile ripercorrere la storia dal 1949, quando venne creata la Nato con due anni di anticipo sulla creazione della prima Comunità europea, quella del carbone e dell’acciaio nel 1951. Da allora le due organizzazioni, diverse per natura e vocazione, sono cresciute con ritmi e tempi diversi, rafforzando la percezione che i due soggetti si sovrapponessero senza che i 21 Paesi dell’UE, membri della Nato, potessero godere di quella che oggi si chiama una loro “autonomia strategica”.

Col senno di poi sarebbe stato meglio se a muoversi verso i confini della Russia fosse stata prima l’Unione Europea con i suoi valori di pace e solidarietà, nel quadro di un partenariato economico-commerciale con il vicino russo, ma questo non è avvenuto con Paesi come Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Bulgaria e Romania che hanno anticipato il loro ingresso nella Nato prima di quello nell’UE, spostando così per prevalenti ragioni di sicurezza le frontiere dell’Alleanza militare vicino alla Federazione russa.

Inutile adesso “piangere sul latte versato”, meglio e urgente valutare con realismo i prossimi passi da compiere in materia di sicurezza e difesa, un traguardo non facile da raggiungere, visto il peso degli Stati Uniti su questo fronte e la divergenza di visioni politiche tra i Paesi membri dell’UE.

Proprio su questo versante si manifesta il rischio di una “nascita prematura” della difesa europea, non solo per motivi tecnici di compatibilità tra i sistemi d’arma nazionali e la competizione tra le industrie militari europee, ma più ancora per una mancanza di politica estera comune europea  necessario inquadramento preliminare per una politica comune della sicurezza.

Il Trattato di Lisbona, oggi in vigore, abbonda in merito alla politica estera europea di affermazioni di principio e di richiami ai valori della solidarietà e della pace, salvo poi restringerne progressivamente l’applicazione vincolandola al cappio del voto all’unanimità.

La “Conferenza sul futuro dell’Europa”, attualmente in corso, si è finora trascinata senza grande partecipazione e risultati, sarebbe adesso il momento di focalizzarne gli obiettivi sulla priorità della salvaguardia e promozione della pace, riportando sul tavolo dei responsabili politici europei un tema segnato da un pericoloso ritardo e oggi da affrontare con adeguata preparazione politica e un reale coinvolgimento dei cittadini europei.

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