Cina domani

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Vicende non proprio esaltanti di casa nostra e turbolenze non lontane da noi, prima in Tunisia e poi in Albania, hanno distolto l’attenzione di molti su quanto avvenuto la settimana scorsa in occasione del vertice a Washington tra il presidente cinese Hu Jintao e quello americano Barack Obama.
Non che quell’incontro abbia prodotto decisioni dirompenti, ma sicuramente ha mandato a dire chi si candida a governare il mondo nei prossimi anni: una forma di G2 che, dopo l’estinzione progressiva del G8 dove l’Europa, e un po’ anche l’Italia, avevano voce in capitolo, sta già   minando la credibilità   di quel G20, nato sulle macerie della crisi economico-finanziaria e in calendario per il prossimo novembre qui vicino a noi, a Cannes. Un’aggregazione quest’ultima di Paesi ricchi o in forte sviluppo, dalle grandi economie occidentali a quelle emergenti come Cina, India, Brasile, Sud Africa ed altri, alla ricerca di un governo condiviso dell’economia e del commercio, con qualche timida apertura sulle politiche sociali ed ambientali. Nell’attesa di vedere come si svilupperà   – se si svilupperà   – questo abbozzo di governo mondiale, la scena se la contendono gli USA minacciati di declino e la Cina in fortissima ascesa, al punto da far prevedere che tra una quindicina di anni l’economia cinese possa superare quella americana, dopo aver già   sorpassato quella tedesca.
Ma restiamo ai numeri e ai problemi di oggi nei rapporti tra USA e Cina quali sono emersi nel vertice di Washington: sullo sfondo una quota impressionante del debito americano «comprato» dalla Cina e quindi anche un comprensibile interesse di quest’ultima a far girare l’economia americana. Lo testimoniano gli accordi commerciali per 45 miliardi di dollari e investimenti cinesi che produrranno 235.000 posti di lavoro negli USA.
In due altri ambiti l’intesa è meno felice, come nel caso del valore sottostimato della moneta cinese e, più ancora, del rispetto dei diritti umani sui quali Obama ha coraggiosamente richiamato il presidente cinese. Hu Jintao su questo versante ha aperto qualche spiraglio, rispedendo perಠal mittente come ingerenze le richieste sul rispetto dell’identità   religiosa e culturale del Tibet.
Meglio sembra che sia andato il tentativo di raffreddare le tensioni tra le due Coree, anche se gli USA manifestano inquietudine sulla prospettiva di riarmo da parte della Cina che, probabilmente, nel corso di quest’anno supererà   gli Stati Uniti come primo produttore mondiale di armi, primato da questi detenuto da oltre cento anni.
Questi i punti essenziali emersi nel vertice di Washington, che certo non esauriscono numeri e problemi che la Cina propone al mondo.
Per citarne solo alcuni, la sua popolazione avviata verso un miliardo e mezzo di persone, il suo ritmo di crescita attorno al 10% annuo, dieci volte quello dell’Italia e cinque volte quello dell’Europa. Ma a fronte di questa crescita, la Cina deve anche fare i conti con un crescente deterioramento ambientale e un’inflazione che sale verso il 4%: due fattori che presto le imporranno di raffreddare l’economia proprio mentre si fa acuto il problema dell’occupazione della moltitudine di cinesi poveri che emigrano dalle campagne, in un Paese dove il Prodotto Interno Lordo per abitante è un decimo di quello degli USA e un ottavo di quello italiano. Non è difficile scorgere all’orizzonte problemi non indifferenti per la stabilità   di un sistema politico autoritario confrontato a un mercato e a una popolazione difficile da tenere sotto controllo.
A questo si aggiungono le tensioni nelle relazioni internazionali, che covano all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e vengono alimentate non solo dall’atteggiamento della Cina nei confronti della Corea del Nord o dell’Iran o dalle diffidenze del Giappone e dell’Australia, ma anche dal conflitto in corso con il Vaticano, unico Stato in Europa che ancora non riconosce la Repubblica Popolare Cinese.
Non trova infatti soluzione il contenzioso tra l’autorità   papale della Chiesa cattolica romana ridotta in condizioni di clandestinità   e la chiesa ufficialmente riconosciuta dalle autorità   cinesi, governata dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi e dal Collegio dei vescovi cinesi ordinati illecitamente senza il consenso del Papa di Roma.
Sullo sfondo un irrisolto problema di libertà   di associazione, di espressione e di pratica religiosa che male si accorda con la tradizione cinese ispirata all’insegnamento di armonia e pacifico consenso di Confucio, al quale da poco è stata dedicata sulla piazza di Tienammen, teatro di una brutale repressione, una grande statua proprio di fronte a quella del Grande Timoniere, Mao Tse Tung.
Da chiedersi come, a partire da quella piazza che chiedeva libertà   al regime comunista, riusciranno a dialogare domani questi due personaggi: dalla risposta a questo interrogativo dipenderà   il futuro della Cina.
E anche il nostro.

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