Campagna elettorale e populismi

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Le campagne elettorali dovrebbero essere un momento alto della vita democratica, l’occasione nella quale al cittadino vengono fornite analisi della situazione, proposte di intervento, obiettivi di lungo periodo. Al cittadino – elettore il compito di farne una valutazione, confrontarla con le proprie opzioni sociali e politiche e tradurre nel voto la sua scelta, affidandone l’esecuzione al partito e alle persone in cui ripone fiducia. Si tratta di un passaggio importante per la democrazia rappresentativa, premessa per una democrazia partecipativa che dovrà, nel corso della legislatura, tenere sotto controllo la fedeltà agli impegni presi dalla politica con la forza del consenso o dissenso popolare.

Letto con questa lente la campagna elettorale in corso per le elezioni europee sembra seguire criteri e strade diverse. Sarà perché la realtà europea è particolarmente complessa, sarà che la distanza del cittadino dalle Istituzioni UE continua a essere grande, sarà che il voto europeo è stato tradizionalmente più un voto di opinione che una scelta politica ignara del suo impatto sulla vita quotidiana, tutto converge verso una campagna elettorale approssimativa nei contenuti, dove gli slogan prevalgono sulle analisi, la protesta sulla proposta, con la “pars destruens” amputata della “pars construens”.

Gli esempi di questa deriva si trovano un po’ ovunque in Italia (e non solo), sia nella maggioranza che nell’opposizione.

Avviene nel Partito democratico che fa appello ai valori della solidarietà e a nuovi “equilibri” di genere tra i suoi candidati senza dire quale disegno di nuova Europa persegue; nel Nuovo Centro Destra che ripropone tra i candidati profili usurati e battaglie marginali come quella sulla sede delle Istituzioni e nella galassia frammentata del centro che non sa bene dove approdare a Strasburgo, esitante tra i liberali e i popolari, dove sopravvivono presenze ingombranti come quella di Forza Italia.

Nell’opposizione si distingue a sinistra per la qualità dell’analisi l’”Altra Europa” di Tsipras, indebolita però da proposte di riforma difficilmente praticabili, con candidati che in Italia hanno dato un brutto spettacolo di forte litigiosità interna e a oggi a forte rischio di non superare la soglia del 4%.

Di tutt’altra qualità la campagna elettorale dell’opposizione di Forza Italia, Movimento 5 stelle e Lega.

Quanto voli basso la prima lo testimoniano slogan che indurrebbero a pensare che si possa ricostruire l’Europa contro la Germania, accusata di negazionismo sui campi di concentramento nazisti nelle parole del suo leader extra – parlamentare, maestro di populismo e incubatore “a sua insaputa” dello sciagurato “fiscal pact”, che adesso disinvoltamente disconosce.

Di Grillo conosciamo l’efficacia degli slogan “contro”, dobbiamo ancora capire bene quali siano le sue proposte “per”, una volta “battuti i pugni a Bruxelles” e “rivoltata l’Europa come un calzino”, impresa di sapore napoleonico, finita allora a Waterloo, a pochi chilometri da Bruxelles.

Sulla Lega non è necessario spendere molte parole, non più di quante essa ne dedichi per spiegarci che cosa ci aspetti dopo il “no all’euro”, se la liretta delle svalutazioni a catena o lo scudo padano, sulla cui capacità di protezione è lecito dubitare.

Si tratta di soggetti politici da non amalgamare, come già appare dalla loro incerta collocazione nel futuro Parlamento europeo: con Forza Italia guardata con diffidenza dal Partito popolare europeo, con il Movimento 5 stelle non facile alle alleanze e con la Lega “regionalista” in una strana alleanza con il “nazionalista” Fronte nazionale di Marine Le Pen.

Resta poco meno di un mese alle elezioni: c’è da sperare che la campagna elettorale ci riservi qualche colpo d’ala, facendoci apprezzare la forza democratica del voto e il suo impatto sull’Europa di domani.

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