Angela Merkel, una speranza per l’UE?

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La storia è segnata da costanti dure a morire. Prendiamo la dizione “Roma aeterna”: se riferita alla odierna città sul Tevere è perlomeno esagerata, molto meno se il riferimento è alla cultura latina che ha educato l’Europa o alla Chiesa di Roma che ne è stata un attore importante. Con molte probabilità sarà più effimera l’espressione “America first” di trumpiana memoria.

Anche a proposito della nota dizione “Deutscheland uber alles” è opportuno introdurre qualche distinzione per quanto avvenuto nel secolo scorso in Europa: è esistita una “Germania sopra tutti” – o almeno il tentativo, fortunatamente sconfitto – all’origine di due tragiche guerre mondiali. Esiste dal 1945 un’altra Germania, quella che non dimentica il suo passato ed è stata capace di inventarsi un nuovo futuro che l’ha portata a primeggiare in Europa. Più ancora dopo l’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989 che ne ha consentito la riunificazione del 1990, aumentandone la sua popolazione, passata dai poco più di 61 milioni di  abitanti di allora ai quasi 83 milioni di oggi. Fu un “allargamento” dell’UE, che anticipò quello dei Paesi dell’Europa centro-orientale tra il 2004 e il 2007, contribuendo a disegnare nuovi equilibri sul continente. 

E’ stato questo per la Germania un periodo di nuovo pacifico protagonismo, in dialogo con l’avversario di sempre, la Francia, e via via con gli altri Paesi dell’UE, molti dei quali timorosi di un ritorno di tentazioni egemoniche tedesche dopo l’unificazione. 

E’ solo un caso che in questo secondo semestre 2020 tocchi alla Germania esercitare la Presidenza tornante dell’UE ed è ancora un caso che questa coincida con un periodo di straordinaria importanza, quello con alcuni tra i  negoziati più difficili per l’UE, quello del bilancio 2021-2017 e del “Piano per la ripresa” proposto dalla Commissione europea, senza dimenticare la chiusura di Brexit. Ma non è un caso che la Germania affronti questa congiuntura da protagonista cui tutti guardano, da nord a sud, per portare fuori l’Europa dal baratro in cui è finita sotto i colpi impietosi del Covid-29.

La convergenza di tutte queste variabili ha fatto pensare a qualcuno che ci si trovi di fronte a una nuova “questione tedesca”, quella che ha agitato l’Europa dalla guerra franco-prussiana del 1780 fino a metà del secolo scorso e che ha reso precari gli equilibri politici sul continente, tradotto in una considerazione ricorrente, secondo la quale “la Germania è troppo debole per l’egemonia e troppo forte per l’equilibrio” o, nella visione più ampia di Henry Kissinger, “la Germania è troppo grande per l’Europa e troppo piccola per il mondo”.

Anche su questo sfondo va letto il discorso tenuto dalla Cancelliera Angela Merkel al Parlamento europeo a Strasburgo la settimana scorsa. Un discorso dai toni concreti e prudenti com’è nel suo stile, ma non per questo di minore impatto per la futura Unione alla quale la Merkel ha ricordato cinque priorità: il rispetto dello stato di diritto (e le orecchie devono aver fischiato a qualcuno in Polonia e in Ungheria, in particolare), la coesione tra i Paesi (e qui era evidente il richiamo al Paesi UE, cosiddetti “frugali”), la transizione climatica (urgenza riconfermata per chi invoca la crisi economica per rinviare la salvaguardia del pianeta), la rivoluzione digitale e il ruolo dell’UE nel mondo. Un fronte caldo quest’ultimo, quando si hanno presenti le relazioni non proprio cordiali dell’UE – e della stessa Germania – con gli USA da una parte e non proprio serene con la Cina dall’altra.

E’ stato il discorso di una statista di lungo corso – è Cancelliera da 15 anni consecutivi – che sa rispettata, quando non invocata, la sua leadership, rivelatasi in passato spesso “riluttante”, ma anche capace di correggere la sua traiettoria politica, oggi ricompensata da un forte consenso in Germania. Un consenso che oggi sembra voler mettere a servizio di un forte rilancio dell’UE, senza alzare la voce o battere i pugni sul tavolo ma con il coraggio che richiede il momento straordinario che viviamo. E’ questa la nuova “questione tedesca”: quale consenso, tedesco ed europeo, è in grado di capitalizzare Angela Merkel per il compito difficile cui è chiamata?

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