All’Assemblea Generale dell’ONU, l’impotenza del mondo di fronte alla Siria

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Non ha retto la tregua in Siria, decisa fra Russia e Stati Uniti il 12 settembre scorso, annullando ancora una volta le fragili speranze di un avvio di negoziati di pace. Non solo, ma appena scoccata la fine della settimana di prova di cessate il fuoco fra l’esercito governativo siriano e i ribelli moderati (erano escluse le operazioni nei confronti dei terroristi del sedicente Stato islamico e di Fatah al Cham) si è scatenata la furia di un bombardamento sul convoglio umanitario dell’ONU e della Mezzaluna Rossa, interrompendo in tal modo la fornitura di viveri e medicinali ad una popolazione stremata e isolata nei pressi di Aleppo.

Le conseguenze tragiche, oltre alla morte di molti civili, è stata la decisione delle due organizzazioni umanitarie, e in particolare dell’ONU, di sospendere gli aiuti umanitari in Siria, dichiarando inoltre che se l’attacco è stato intenzionale, questo deve essere considerato, senza mezzi termini, un vero e proprio crimine di guerra. Nessuna delle parti in conflitto rivendica un’operazione che è riuscita, malgrado gli orrori già visti in cinque anni di conflitto, ad indignare nuovamente e profondamente la comunità internazionale. Russi e americani, con i loro rispettivi alleati, si sono accusati a vicenda, gettando in tal modo un’ombra sinistra e alimentando innumerevoli interrogativi sulla trasparenza e sulle reali intenzioni di quell’accordo raggiunto non più di dieci giorni fa.

Sullo sfondo di questi scenari, la Siria è stata al centro delle discussioni in seno all’Assemblea generale dell’ONU tenutasi a New York nei giorni scorsi, un’Assemblea che per la prima volta, e vista l’importanza del fenomeno e della sfida che rappresenta, aveva organizzato in contemporanea un Summit sui Rifugiati e Migranti. Obiettivo del Summit era quello di mettere a punto un programma in grado di fornire una risposta mondiale, coordinata ed efficace alla crisi migratoria. Un obiettivo al quale hanno aderito una cinquantina di Paesi, i quali si sono impegnati, per l’anno prossimo, a raddoppiare l’accoglienza dei profughi e ad ospitare 360.000 persone.

Alla Tribuna dell’Assemblea Generale dell’ONU si sono alternati i discorsi di alcuni dei leader più coinvolti sul teatro di guerra mediorientale. A cominciare da Barack Obama, che nel suo ultimo discorso all’Assemblea da Presidente degli Stati Uniti, ha affrontato il tema della guerra in Siria mettendo in evidenza la difficoltà di risolvere il conflitto attraverso una vittoria militare definitiva, ma insistendo nella necessità di proseguire nel tentativo di trovare una soluzione diplomatica. Un approccio che ha chiamato definitivamente in causa la Russia, la sua politica di nuovo protagonismo internazionale basato sull’uso della forza e il suo incondizionato sostegno a Bachar Al Assad.

Non meno accorato l’appello a porre fine alla guerra di Francois Hollande, anch’egli Presidente di un Paese, la Francia, che giudicherà il suo primo mandato alle prossime elezioni del 2017. Hollande ha scandito dalla tribuna un forte “ca suffit”, un “basta” alla guerra, accompagnato da quattro esigenze: imporre un cessate il fuoco, assicurare la distribuzione immediata dell’aiuto umanitario, permettere la riprese dei negoziati politici e sanzionare il ricorso alle armi chimiche.

Ha fatto eco a Obama e a Holland il Presidente turco Erdogan, il quale ricordando il recente intervento del suo Paese, ha richiesto una soluzione politica immediata, portando ad esempio i risultati ottenuti dal suo esercito nel Nord del Paese e cioé “la pace, l’equilibrio e la sicurezza ritrovata”. Un approccio che purtroppo rivela tutta l’ambiguità della politica turca e non rassicura sull’interpretazione da parte del Presidente dei risultati ottenuti.

Riflettori spenti invece all’ONU per quanto riguarda la Russia, protagonista indiscussa e in prima linea nel conflitto siriano. Reduce da una scontata vittoria elettorale con il suo Partito “Russia Unita”, Putin sta raccogliendo i frutti di una politica volta a ridare alla Russia il ruolo di grande potenza, di attore indispensabile e riconosciuto sullo scacchiere internazionale. Attraverso un adeguato uso dei media e della propaganda è andato incontro a desideri ed illusioni dei Russi di sentirsi parte di un grande Paese. L’obiettivo politico, almeno per quanto riguarda la Siria, sembra raggiunto, come sembra raggiunto quello di aver rafforzato la posizione di Bachar al Assad.

Forse è proprio fra le pieghe di questi obiettivi raggiunti che si può immaginare un fase nuova della diplomazia russa volta a trovare una via d’uscita dignitosa dallo scacchiere di guerra mediorientale. Forse tutta la diplomazia riproverà la via delle tregue, dei cessate il fuoco e delle prove di dialogo per raggiungere la pace. Forse.

 

 

 

 

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