Si sono concluse domenica scorsa le elezioni presidenziali in Moldavia, con la vittoria di Maia Sandu, per un secondo mandato. La vittoria della Presidente vicina all’Europa, con il 54% dei voti, è stata possibile grazie al voto della diaspora moldava, circa 300.000 elettori residenti all’estero e lontani dal loro Paese.
Un risultato che richiama quello del referendum di due settimane fa, il cui quesito verteva sulla volontà o meno di iscrivere nella Costituzione del Paese il processo irreversibile di integrazione europea. Vinse il sì con una maggioranza sul filo di lana e, ancora una volta, grazie ai voti della diaspora.
Sono due vittorie problematiche, anche se in positivo nelle urne, che riflettono tutti i dubbi e le incertezze di un piccolo Paese che confina con l‘Ucraina e che sente il peso della minaccia russa alle sue spalle. Non rassicura nemmeno quel futuro di adesione promesso dall’Unione Europea, un processo lungo nel tempo che richiede ingenti riforme politiche, amministrative ed economiche, nella prospettiva del rispetto dello stato di diritto e dei valori della democrazia.
Al riguardo, la realtà e la situazione interna del Paese sono oltremodo complesse, a partire dall’incertezza dei confini con l’Ucraina (circa 1.000 chilometri) in guerra e, in seguito, con la regione della Transnistria, situata tra la Moldavia e l’Ucraina, dichiaratasi indipendente nel 1991, filorussa e con la presenza di militari russi sul suo territorio. Regione diventata un’area strategica cruciale per la possibile evoluzione del conflitto.
Una situazione che richiama quella della Georgia, Paese su cui oggi pesa il dubbio sulla sua candidatura di adesione all’UE, andata alle urne il 26 ottobre scorso e dove, malgrado il manifesto desiderio della popolazione di avvicinarsi all’Europa, i risultati elettorali hanno consegnato la vittoria al partito “Sogno georgiano”, vicino alla Russia. Un risultato che porta il peso del ricordo della guerra che la Russia ha mosso alla Georgia nel 2008, una guerra che ha lasciato ferite e, oggi, forti e comprensibili inquietudini sulle scelte future del Paese.
In questa situazione ai nostri confini orientali, vale la pena ricordare la più recente storia delle relazioni dell’UE con i Paesi dell’ex Unione Sovietica esclusi dall’allargamento del 2004 e con i quali Bruxelles, a partire dal 2008, aveva intrapreso, nel quadro della sua Politica Europea di Vicinato, una nuova cooperazione di Partenariato Orientale. Sei i Paesi coinvolti, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaijan, tutti Paesi vicini o confinanti con l’UE e che, nello stesso tempo, Mosca considerava parte del suo “Estero vicino”. In altre parole, Paesi che si ritrovavano nella scomoda posizione di corridoio/cuscinetto fra Russia e Unione Europea.
Obiettivo del Partenariato era quello di instaurare con questi Paesi rapporti politici, economici, culturali e strategici più stretti, in modo tale da creare una zona di maggiore stabilità regionale ed avviare con loro un percorso verso la democrazia e lo stato di diritto. A distanza di quindici anni, poco o nulla rimane di questa strategia politica, fragile fin dall’inizio per il contrasto e l’opposizione della Russia a un tale disegno e spazzata via dagli eventi violenti che si sono succeduti.
Nel frattempo, infatti, abbiamo visto la Bielorussia, malgrado una coraggiosa opposizione interna, schierata decisamente a fianco del Cremlino, l’Ucraina aggredita da una guerra che ormai dura da quasi tre anni e non apre spiragli di pace, la Georgia, ferita da una guerra che ha ridotto il suo territorio del 20% e divisa in due tra Europa e Russia. Sempre nel Caucaso del Sud, Armenia e Azerbaijan si sono fatti nel 2023 l’ultima guerra nel Nagorno Karabak, con un cessate il fuoco mediato dalla Russia, una vittoria per Baku, un tragico esodo degli armeni e la scomparsa della piccola enclave armena in territorio azero.
Non sarà facile per l’Unione Europea, oggi fragile istituzionalmente, incapace di dotarsi di una politica estera comune e di processi decisionali adeguati, affrontare con una rinnovata strategia tutte le sfide che si stanno accumulando ai suoi confini orientali.