Uno studio evidenzia i dubbi sul reato di clandestinità  

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Con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina l’Italia si allinea alle posizioni di altri Stati membri dell’UE, secondo esponenti del governo italiano, ma uno studio dell’Università   Bocconi evidenzia una realtà   profondamente diversa.
In un articolo firmato da Alberto Alessandri (docente di Diritto penale alla facoltà   di Giurisprudenza dell’Università   Bocconi di Milano) ed Elena Garavaglia (dottoranda in Diritto dell’Impresa presso la stessa Università   Bocconi), è svolta una comparazione tra alcuni Paesi europei che evidenzia come le sanzioni previste sono per lo più pene pecuniarie e sanzioni amministrative, cioè diverse da quelle detentive che il governo italiano intende adottare.
L’Immigration Act britannico, ad esempio, prevede una serie di condotte che si possono apparentare al caso italiano, ma si prevede solo la pena della multa o la detenzione per un massimo di sei mesi, mentre pene maggiori sono riservate a chi facilita il transito, la tratta delle persone. La Francia sanziona con la reclusione di un anno e la multa di 3750 euro la condotta di ingresso e permanenza in assenza dei documenti previsti e stabilisce la possibilità   di vietare al condannato l’ingresso e il soggiorno in Francia per una durata non superiore a tre anni. La Spagna, con la Ley Organica n. 4/2000 e successive modifiche, prevede solo sanzioni amministrative con un ventaglio di condotte a seconda della loro gravità  . In Germania la normativa sull’immigrazione del 30 luglio 2004 è composta da due atti a seconda della loro applicazione a cittadini comunitari o extracomunitari: per questi ultimi sono previste pene pecuniarie in alternativa alla reclusione fino a un anno, rispetto a un ventaglio di ipotesi differenziate. La Grecia, con la legge n. 2910 del 2001, ha previsto un reato per l’introduzione clandestina, ma con una pena alternativa, pecuniaria o detentiva, quest’ultima prevista nella misura minima di tre mesi.
Secondo gli autori, le differenze aumentano considerando l’effettività   delle norme: «Nonostante la difficile comparabilità   delle statistiche giudiziarie, qualche dato è significativo e sembra dimostrare un’applicazione molto limitata della fattispecie di immigrazione clandestina a favore dei provvedimenti di espulsione». Se il governo italiano intende invece dare «un segnale», sottolineano gli autori dello studio, «a parte la sostanziale immoralità   e incostituzionalità   di usare lo strumento penale, si tratta di un segnale affidato a un’arma spuntata per la pratica impossibilità   di applicare la norma, che porterebbe un enorme aggravio del carico processuale; per l’impossibilità   di stabilire la data di ingresso, se non in flagranza alla frontiera; per la discriminante dello stato di necessità   per chi arriva su barche in pericolo di affondare; e via dicendo. Nel contempo ogni persona percepita come «straniero» diverrà   un sospetto criminale».

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