2018: per l’Ue ancora un anno turbolento

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Si avvia a conclusione un altro anno difficile per l’Unione Europea e non è di molta consolazione che altrove sia anche andato peggio: non solo in Africa e in America Latina o nel Medioriente perennemente in fiamme. La Cina registra un pericoloso rallentamento per un’economia che deve rispondere alle attese di quasi un miliardo e mezzo di persone e gli USA cominciano a intravedere il rischio di un raffreddamento della loro crescita in un clima politico sempre più confuso.
Ai confini immediati dell’UE non si spegono la contesa territoriale tra Ucraina e Russia e la guerra civile in Siria e crescono le tensioni nei Balcani, in particolare nelle relazioni tra la Serbia e in Kosovo, senza dimenticare l’aggravarsi del conflitto israelo-palestinese.
Per l’UE l’anno che si sta concludendo sembrava essere stato propiziato da qualche buona notizia del 2017. Avevano sorriso alle prospettive di progresso per l’UE, nella primavera dell’anno scorso, i risultati delle elezioni in Olanda e in Francia, un po’ meno in autunno in Germania dove però Angela Merkel, seppure indebolita dal voto, era stata comunque confermata alla Cancelleria. 
Un segnale inquietante però era giunto a ottobre dall’Austria, con l’arrivo al governo di una coalizione di destra, con una forte componente di estrema destra eurofoba.
Il 2018 ha dato fiato alle politiche annunciate dal voto austriaco, cui ha fatto eco un crescendo di toni ostili al processo di integrazione europea da parte dei Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), amplificato oltre ogni attesa dall’esito del voto italiano del 4 marzo scorso.
Se a questo si aggiungono le turbolenze politiche in Gran Bretagna, intrappolata nell’azzardo di Brexit, le spinte autonomiste sempre presenti della Catalogna, i movimenti di segno razzista in Germania, la precipitosa caduta di consenso in Francia di Emmanuel Macron e il duro scontro, solo provvisoriamente sospeso, tra Roma e Bruxelles non dovrebbe stupire la semi-paralisi di cui è stata vittima l’UE in questo anno di disgrazie per il nostro continente.
La dichiarazione sottoscritta dal Consiglio europeo in occasione della celebrazione dei sessant’anni del Trattato di Roma, nel marzo del 2017, è rimasta una lista di buone intenzioni, logorate dalla ostinata litigiosità tra i governi degli Stati membri, veri responsabili delle mancate risposte ai problemi che conosce l’Europa, da quelli dei flussi migratori fino all’emergenza del cambiamento climatico.
Non bisogna però neppure dimenticare la tenacia con la quale la Corte di Giustizia ha presidiato il rispetto del diritto e la Commissione la difesa della vita democratica in Paesi come la Polonia e l’Ungheria, dove anche l’opposizione comincia a farsi sentire, e la determinazione con cui la Banca centrale europea – e il suo Presidente Mario Draghi – ha contribuito alla tenuta dell’euro e dell’economia europea. 
Non è mancato nemmeno l’impegno del Parlamento europeo a stimolare passi avanti all’UE e a tenere vivo il confronto democratico in una stagione politica nella quale i Parlamenti nazionali rischiano l’irrilevanza (clamoroso il caso italiano), contrastata per quanto possibile dal dinamismo delle autonomie locali.
Ci separano adesso cinque mesi dalle elezioni europee di fine maggio 2019: una consultazione che potrebbe segnare in modo determinante il futuro dell’UE, non solo perché deciderà del ricambio di tutti i vertici delle Istituzioni europee, ma più ancora perché arbitrerà la dura contesa in corso tra un pericoloso ritorno al passato delle sovranità nazionali e l’apertura verso un futuro di dialogo multiculturale tra popoli chiamati a convivere serenamente e di negoziati multilaterali tra Stati obbligati a cooperare se vogliono salvaguardare la pace in Europa e nel mondo.
Sarà una scelta tra apertura e chiusura, tra passato e futuro, tra democrazia e involuzioni autoritarie, tra autarchia e libero scambio. 
Soprattutto sarà una scelta tra orizzonti di pace e tempeste di guerre. Non è il momento di esitare, sicuramente è proibito sbagliare.

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