Libera circolazione dei lavoratori positiva per l’UE

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In seguito ai due recenti allargamenti dell’UE (2004 e 2007), i «lavoratori mobili» dei nuovi Stati membri hanno avuto un impatto positivo sull’economia dei Paesi dell’UE in cui si sono recati e non hanno causato gravi turbative ai loro mercati del lavoro.
Lo rileva una Relazione della Commissione europea, che sottolinea come sia per l’UE nel suo insieme sia per la maggior parte dei suoi Stati membri questi flussi di manodopera sono stati «limitati rispetto alle dimensioni dei mercati del lavoro e agli afflussi da Paesi terzi». In generale, comunque, secondo la Commissione i lavoratori dei Paesi UE-8 (cioè i 10 nuovi Stati membri del 2004 tranne Cipro e Malta) come anche quelli della Bulgaria e della Romania hanno recato un «contributo significativo per assicurare una crescita economica sostenuta senza penalizzare in modo significativo i lavoratori locali e senza determinare un dumping salariale». Essi hanno recato negli ultimi anni un «importante contributo» ad una crescita economica sostenuta, permettendo di risolvere carenze di manodopera e senza comportare oneri eccessivi per il sistema di welfare. Così come «vi sono ben poche prove» del fatto che i lavoratori dei nuovi Stati membri abbiano soppiantato i lavoratori locali o abbiano comportato un sensibile dumping dei salari persino nei Paesi in cui gli afflussi sono stati maggiori, «anche se in certi settori specifici vi sono stati problemi temporanei di adattamento».
Per questo motivo, la Commissione invita gli Stati membri a «riesaminare» le restrizioni alla libera circolazione al fine di valutare se siano ancora necessarie, perchà© l’eliminazione di tali restrizioni «non sarebbe solo opportuno sul piano economico, ma contribuirebbe anche a ridurre problemi quali il lavoro non dichiarato e il lavoro autonomo fittizio».
La Relazione indica che la quota media della popolazione costituita dai cittadini dei Paesi che hanno aderito all’UE nel 2004 e che vivono nei «vecchi» 15 Stati membri è passata dallo 0,2% del 2003 allo 0,5% alla fine del 2007, mentre la quota di bulgari e rumeni che vivono nell’UE-15 è passata dallo 0,2% allo 0,5%. La maggior parte dei lavoratori mobili provenienti dai nuovi Stati entrati nell’UE nel 2004 (soprattutto polacchi, lituani e slovacchi) si è recata in Irlanda e nel Regno Unito, mentre la Spagna e l’Italia hanno costituito le principali destinazioni dei rumeni. Inoltre, molti lavoratori mobili dell’UE vanno in un altro Stato membro su base temporanea ma non intendono rimanervi in permanenza, mentre gli attuali sviluppi dell’economia e il probabile declino nella domanda di manodopera potrebbero ridurre i flussi di lavoratori nell’UE e aumentare le migrazioni di ritorno.
In pratica, suggerisce la Relazione, la libera mobilità   della manodopera tende ad autoregolarsi con flessibilità   in entrambe le direzioni: i lavoratori vanno dove c’è domanda di lavoro e molti vanno via quando le condizioni occupazionali diventano meno favorevoli.
Va ricordato che il 31 dicembre 2008 scadrà   la prima fase di disposizioni transitorie che consentono agli Stati membri di limitare temporaneamente il libero accesso dei lavoratori bulgari e rumeni, restrizioni introdotte nel gennaio 2007 da 15 Stati membri su 25 (tranne Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia e Slovacchia). Per i Paesi entrati nell’UE nel 2004 (tranne Cipro e Malta), invece, la seconda fase delle disposizioni transitorie scadrà   nell’aprile 2009: quattro Stati membri (Germania, Austria, Belgio e Danimarca) continuano a limitare in diversa misura l’accesso di questi lavoratori, ma dopo il 30 aprile 2009 le restrizioni potranno essere mantenute solo in caso di grave turbativa (o di minaccia di grave turbativa) del mercato del lavoro.

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