Yemen, nuovo fronte di guerra in Medio Oriente

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Si è aperto in Medio Oriente un nuovo fronte di guerra e più precisamente nello Yemen, un Paese situato sulla punta sud della Penisola arabica e considerato uno dei Paesi più poveri al mondo. Alle spalle ha una lunga storia di guerre interne e di divisioni etniche e religiose, superate solo apparentemente con la riunificazione dei  due Stati yemeniti del Nord e del  Sud nel 1990. La storia più recente, passata attraverso le proteste di una breve “primavera araba” nel 2011 e la destituzione dell’allora Presidente Saleh, è segnata, con l’elezione del nuovo Presidente Abdel Monsur Hadi nel 2012, da una difficile transizione politica, sostenuta in particolare dall’Arabia Saudita. Ma, in questi ultimi mesi, il deterioramento della situazione e l’instabilità politica hanno raggiunto livelli inquietanti: la conquista, ad inizio gennaio, da parte degli sciiti Houthi, della capitale Sanaa, il loro veloce avanzare verso sud nonché la prospettiva della conquista del porto di Aden, hanno fatto scattare l’intervento militare delle potenze sunnite della regione. Guidate dall’Arabia Saudita, sono prontamente scese in campo le monarchie del Golfo, l’Egitto, la Giordania, il Sudan, il Marocco, in un’operazione chiamata “Tempesta decisiva”, sostenuta  politicamente non solo dalla Turchia ma anche dagli Stati Uniti.

La prontezza dell’intervento sunnita mette in evidenza, se ancora fosse necessario, quanto le divisioni tra sciiti e sunniti siano ormai diventate il fulcro delle guerre e dell’instabilità che si consumano nella regione e che ormai rispondono a delle logiche di potere e di supremazia regionale ben definite. E la ragione essenziale dell’intervento militare sunnita è proprio quella di fermare la prospettiva di uno Yemen sciita, sostenuto dall’Iran. Una prospettiva in grado di rimettere in discussione, ed eventualmente rovesciare, gli attuali rapporti di forza fra le due grandi correnti dell’islam, a favore degli sciiti.

In primo luogo è la posizione geostrategica dello Yemen a sollevare le maggiori inquietudini. Il Paese controlla infatti lo stretto di Bab – el – Mandeb, fra Yemen e Gibuti, che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, punto di passaggio fondamentale per le forniture di petrolio in Europa, in America e in Asia. Attraverso questo stretto passano infatti 3,8 milioni di barili di petrolio al giorno, compresa buona parte del greggio saudita. Un eventuale controllo da parte degli Houthi e, indirettamente dall’Iran, è comprensibilmente una prospettiva inaccettabile da parte dell’Arabia saudita.

Un secondo aspetto di questo intervento militare è legato all’esito dei negoziati in corso sul nucleare iraniano, un negoziato in dirittura d’arrivo proprio in questi giorni a Losanna. La prospettiva di un compromesso fra Teheran e le grandi potenze (5+1, Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia più Germania) che consenta agli iraniani di avere energia nucleare senza potersi dotare della bomba atomica, costituirebbe  un evento di evidente importanza non solo per la regione. Da una parte perché l’accordo porterebbe alla graduale cancellazione delle sanzioni economiche che, da anni, limitano gravemente lo sviluppo del Paese, e dall’altra perché accrediterebbe l’Iran come Paese in grado di contribuire alla stabilità della regione e di tornare ad avere un ruolo sullo scacchiere internazionale. Una prospettiva della politica estera iraniana che potrebbe essere rimessa in discussione proprio dalla crisi nello Yemen e dall’aggravarsi della contrapposizione con l’Arabia Saudita.

Nel frattempo, l’intervento militare nello Yemen continua, facendo di questo Paese un nuovo teatro di guerra “per procura”, in un contesto regionale già fortemente segnato dalla violenza jihadista e dal terrorismo di un sedicente Stato islamico, pronto ad inserirsi in questo nuovo fronte di instabilità.

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