Venti di guerra ad Est

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La situazione in Ucraina non accenna a calmarsi e gli spazi lasciati alla diplomazia e al dialogo sembrano molto esigui. All’est del Paese tuonano toni minacciosi, richieste di secessione e di adesione alla Russia, accuse di fascismo al nuovo Governo provvisorio ucraino. Dopo l’annessione della Crimea è infatti in corso, così almeno appare, un processo di disintegrazione dell’Ucraina, portando al massimo il rischio di una guerra civile dagli effetti devastanti sul piano interno e con imprevedibili ricadute sul piano geopolitico e sui rapporti tra Russia e Occidente.

Perché è proprio lì, in Ucraina, che si sta giocando il primo vero confronto fra Russia e Occidente, dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel non troppo lontano 1991. Sono trascorsi poco più d vent’anni da quel momento giudicato da Putin “la più grande tragedia del XX secolo”, alla quale l’Ucraina, con la sua dichiarazione di indipendenza, ha certamente contribuito, agli occhi e alla visione odierna di Putin, in modo essenziale. È stata, quella dell’Unione Sovietica, una morte silenziosa, che non ha generato conflitti. Oggi, la rinata Federazione russa, volta contemporaneamente al passato e a un inquieto e ancor poco chiaro futuro sulla scena internazionale, fa i conti con una nuova situazione geopolitica che si è man mano ricostruita alle sue frontiere, riportando d’attualità un conflitto che, per fortuna, non c’è stato. Con due chiavi di lettura: quella della sicurezza e quella della sua arma economica più potente, il gas e il petrolio.

Per quanto riguarda la sicurezza, è la presenza della NATO alle immediate frontiere della Russia a costituire un primo sentimento di minaccia e di accerchiamento, rendendo le relazioni Est Ovest sempre più tese. A cominciare dalla riunificazione tedesca nel 1990, sono state nel 1999 la Polonia, la Repubblica ceca e l’Ungheria ad aderire alla NATO, seguite nel 2004 da Bulgaria, Romania, Slovacchia e i tre Paesi Baltici. La prospettiva di un’adesione dell’Ucraina, già evocata nel 2008 ha ulteriormente esasperato quel sentimento. Non solo, ma anche la prospettiva di un ravvicinamento all’Europa nel quadro del Partenariato orientale dell’Unione Europea contrastava interamente con il futuro progetto russo di Unione doganale eurasiatica, di cui l’Ucraina avrebbe dovuto essere una componente essenziale. Una situazione che sembra aver messo l’Ucraina fra due fuochi, in una scelta fra Russia e Europa, ma che potrebbe essere tradotta, in termini storici, in scelta fra il passato e il futuro.

L’annessione della Crimea, oltre a rispondere a un sentimento di sicurezza è strategica per la Russia a causa del porto di Sebastopoli, via d’uscita delle sue navi per il Baltico, il Bosforo e il Mare del Nord. E l’Ucraina nel suo insieme è altrettanto importante in quanto via di transito di una gran parte dell’energia venduta all’Europa, un aspetto questo che dovrebbe dimostrare l’interesse sia di Mosca che dell’Occidente ad una stabilità del Paese.

Le tensioni, dopo la Crimea, e secondo uno scenario simile, si sono ora spostate ad est dell’Ucraina, a Donetsk, dove i filorussi hanno già proclamato l’indipendenza. Un nuovo scenario di secessione possibile di un territorio oltretutto vitale per la sopravvivenza della Crimea stessa, dato che quest’ultima ne dipende in modo considerevole per le forniture di acqua, di energia e per le infrastrutture di trasporto.

È urgente quindi che la diplomazia riprenda voce per evitare una guerra civile, una spartizione dell’Ucraina e per gettare le basi di una nuova comprensione dei rapporti fra la Russia e l’Occidente. Con l’Ucraina si è disegnato un nuovo ordine europeo ed è a partire da qui che la Russia e l’Europa in particolare, devono trovare, attraverso il dialogo, quello spazio di interessi comuni nella regione e sullo scacchiere internazionale. Per evitare una logica di conflitto controproducente e pericolosa in un mondo sempre più multipolare.

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