Unione Europea: migranti e nuove barriere

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Sembra tornare, anche in Europa, il tempo dei muri e delle barriere. Dei muri credevamo di esserci sbarazzati con l’abbattimento del muro di Berlino, delle barriere – almeno quelle commerciali – ci siamo progressivamente liberati all’interno dell’Unione Europea, un po’ meno con il resto del mondo.

Oggi la realtà sta cambiando: vi erano 300 km di muri nel 2014, sono diventati 2000 lo scorso anno, ne sono previsti in costruzione altri 200 tra la Finlandia e la Russia e altri si aggiungeranno probabilmente ai confini dei Paesi baltici e tra la Bulgaria e la Turchia.

Questa triste contabilità non si esaurisce qui: sono muri anche quelli marittimi tra l’Africa settentrionale e l’Italia e la Grecia, come diventa sempre più un muro il Canale della Manica tra Francia e Regno Unito.

Il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, riunito a Bruxelles la settimana scorsa, sembra orientarsi a muovere in questo senso, nel quadro di un approccio più severo al tema dei migranti, tanto per quanto riguarda il loro ingresso nello spazio dell’Unione che per rimpatri e movimenti secondari, quelli che prevedono il ritorno dei migranti irregolari nel Paese in cui sono approdati dopo aver superato i confini dell’Unione.

L’attuale quadro politico europeo, orientato su posizioni conservatrici, anche in  vista delle elezioni del Parlamento europeo del maggio 2024, converge verso una politica di progressivo rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione con una serie di misure che torneranno sul tavolo per una decisione nei prossimi mesi.

Il rafforzamento delle frontiere esterne potrà essere perseguito anche con nuove infrastrutture, anche se non necessariamente con nuovi muri e comunque, almeno per ora, senza che questi vengano costruiti con risorse comunitarie. 

Intanto però il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a finanziare misure degli Stati membri che contribuiscono direttamente al controllo delle frontiere e chiede alla Commissione di “mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi UE per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle attrezzature di controllo delle frontiere, dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature”. 

Inoltre il Consiglio “riconosce la specificità delle frontiere marittime, anche per quanto riguarda la salvaguardia delle vite umane e sottolinea la necessità di una cooperazione rafforzata in ordine alle attività di ricerca e di soccorso” e il pensiero va alla nuova politica del governo italiano. 

Un ruolo importante dovrà avere anche una “politica unificata, globale ed efficace dell’UE in materia di rimpatrio e riammissione, nonché un approccio integrato alla reintegrazione. E’ necessaria un’azione rapida per garantire rimpatri efficaci, dall’Unione Europea e dai Paesi terzi situati lungo le rotte”: potranno contribuirvi una più attenta gestione dei visti – nell’UE la maggioranza dei richiedenti asilo vi è entrata con regolari visti turistici – e l’individuazione di Paesi terzi e di Paesi di origine sicuri.

Non manca nel documento del Consiglio un imbarazzato riferimento alla revisione dell’Accordo di Dublino, che da anni scarica la responsabilità dei richiedenti asilo sul Paese di primo approdo, come spesso capita all’Italia ma non solo.

La tonalità del documento abbonda in intenzioni, più o meno buone, molto meno nell’adozione di misure concrete, pur sollecitate con urgenza, ma lasciate alla responsabilità degli Stati membri rispetto ai quali poco può fare la Commissione, tenuto conto delle limitate competenze del tema migrazioni a livello comunitario.

Non è un caso che il “Patto sulla migrazione”, adottato nel 2020, resti ancora una proposta la cui implementazione è rinviata al 2024, alla vigilia delle elezioni del Parlamento europeo.

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