Che l’Unione Europea fosse una tartaruga lo sapevamo, ma che fosse anche così cieca la crisi umanitaria palestinese ce lo avrà chiarito per sempre. Essere tartaruga è comprensibile, se non perdonabile, per una realtà complessa e sempre più frammentata com’è questo strano animale dell’Unione, fatto di 27 Paesi, alcuni insieme da decenni, altri da pochi anni; alcuni ancora impegnati sulla strada in salita dell’integrazione, se non politica almeno economica, e altri in rapida discesa verso dinamiche di disintegrazione della coesione, certamente politica, in attesa di diventare anche economica.
Ma tutto questo non autorizza l’Unione-tartaruga a non vedere quanto accade nel mondo, a non vedere venire l’aggressione russa all’Ucraina e a voltarsi dall’altra parte per non vedere i massacri provocati da Israele nella Striscia di Gaza. Non è da ieri che questo avviene e che ci viene raccontato ogni giorno, eppure ci sono voluti mesi prima che l’Unione Europea ne prendesse coscienza e preparasse, si spera, le risposte che si impongono.
Si era mossa male fin dall’inizio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, troppo squilibrata in favore del governo israeliano, al punto da essere richiamata all’ordine anche da alcuni governi nazionali. Si imputò questa sua prima reazione alla cautela su un tema controverso tra i 27, qualcuno vi trovò una generosa attenuante nella sua nazionalità, prigioniera di una “ragion di Stato” tedesca dopo la tragica Shoah del secolo scorso, come ancora avvenuto con il nuovo Cancelliere tedesco in difesa di Israele.
Ma qui stiamo parlando della responsabilità dell’Unione Europea, preteso presidio dei diritti fondamentali, residua isola nel mondo di rispetto dello Stato di diritto che ha finora stentato a far sentire la sua voce, mentre un numero crescente di Paesi UE andavano manifestando un evidente disagio, sfociato in una larga maggioranza orientata ad adottare sanzioni contro Israele, come la sospensione dell’Accordo commerciale con l’Unione attivo dal 2000. Una misura ancora modesta se la si raffronta ai 18 pacchetti di sanzioni adottati contro la Russia in guerra con l’Ucraina.
Alla testa di questa maggioranza si erano mossi in particolare Francia e Spagna, riprendendo orientamenti già espressi con forza nella scorsa Commissione dallo spagnolo Josep Borrell e ripresi con qualche esitazione di troppo da parte di Kaja Kallas succedutagli nella responsabilità di Alto Rappresentante per la politica estera. Spinte che non sono bastate a smuovere Ursula von der Leyen, risvegliatasi fuori tempo massimo solo nei giorni scorsi, insieme con la sua amica Giorgia Meloni, dopo l’ennesimo “errore” israeliano con le vittime nella parrocchia cattolica di Gaza, come se non fossero state sufficienti ad aprire gli occhi di tutti le decine di migliaia di vittime civili provocate dall’esercito israeliano.
Dopo un lungo silenzio colpevole, finalmente l’Unione Europea ha avuto un sussulto di dignità nei giorni scorsi e 25 dei suoi Paesi membri, ad esclusione della solita Ungheria e, ancora una volta, della Germania, ma insieme ad altri Paesi europei come il Regno Unito, Islanda, Norvegia e Svizzera – hanno alzato la voce per condannare il disastro umanitario provocato dagli israeliani in questi mesi, riducendo alla fame gli abitanti di Gaza.
Inutile adesso far finta che l’UE non esca gravemente discreditata da questa vicenda: ci vorranno adesso interventi molto concreti per riscattarsi, soprattutto se il Consiglio dei ministri UE – complice la pausa estiva, di cui però nessuno gode a Gaza – continuerà a rinviare la decisione di sospendere l’associazione commerciale con Israele, passando finalmente dalle parole ai fatti.
La Storia giudicherà una responsabilità grave per l’UE aver contribuito a lasciare morire Gaza.