E’ costata fatica costruire negli anni, prima la Comunità europea e poi l’Unione Europea di oggi.
Oggi sembra molto più facile disfarla, sia non facendo niente per farla crescere, sia dandosi da fare per smontarla pezzo per pezzo come molti stanno provando a fare.
Alla prima categoria appartengono i “realisti prudenti”, quelli che fiutando il vento cercano di stare al riparo da confronti che potrebbero trasformarsi in tensioni, con relativa perdita di clientele elettorali e simili.
Sono quelli che “prendono tempo” per capire cosa faranno gli altri, in particolare se si tratta di alleati potenti che, dall’altra parte dell’Atlantico, potrebbero non gradire troppa autonomia e brandire l’arma dei dazi, con la speranza che, se questi proprio ci saranno, non colpiscano proprio noi. E allora non è il caso di sentirsi troppo legati alla politica commerciale comune, meglio anche allentare i vincoli della politica ambientale, imparare a tenere i migranti fuori dai confini ed espellerli appena possibile e allargare i cordoni della borsa per l’acquisto di armamenti anche in assenza una politica comune estera né della difesa.
Alla seconda categoria appartengono i “ patrioti affondatori ” del progetto europeo, nostalgici della “Nazione”, con mille tentativi per accelerare i tempi del logoramento dell’Unione. Alleati con i complici dei “realisti prudenti” che gli offrono un insperato contributo, moltiplicano alleanze e aggregazioni tra singoli Paesi dell’Unione per ridurre quello che resta delle politiche comuni o per impedirne il rafforzamento.
Brillano qui alcuni leader in particolare, come nel caso dell’insolito incontro in Lapponia a dicembre tra Finlandia e Svezia con l’Italia e la Grecia, alle prese con singolari “convergenze parallele” per blindare i confini, gli uni per la paura dei russi e gli altri per frenare i flussi migratori sulle sponde del Mediterraneo, in attesa di aggregare i Paesi della rotta balcanica, visto che l’intesa con l’Ungheria per chiudere le frontiere c’è già e dura da tempo.
Ci fu un tempo in cui accordi bilaterali all’interno dell’Unione Europea non erano così immediatamente strumentali e, senza escludere reciproci vantaggi, si collocavano in una strategia europea di maggiore integrazione. Era il caso dell’alleanza tra Germania e Francia e, più recentemente, tra quest’ultima e l’Italia.
Tra Francia e Germania il Trattato dell’Eliseo del 1963, confermato ed aggiornato con il Trattato di Aquisgrana del 2019, è servito per rafforzare questi due Paesi alla guida della Comunità europea prima e dell’Unione Europea poi anche se, nel clima di risorgenti movimenti nazional-populisti, hanno ultimamente perso capacità di incidere sul processo di integrazione europea.
Più recente il Trattato del Quirinale con la Francia, firmato per l’Italia da Mario Draghi nel 2021 e persosi nella nebbia con l’attuale governo e certo non aiutato dalle vicende della politica francese: un potenziale partenariato che, dopo la secessione britannica del 2020 e l’indebolimento delle relazioni franco-tedesche, avrebbe offerto all’Italia di far parte di un triangolo di intese che poteva fare bene all’Unione e anche alla “Nazione”.
Ma in politica i vuoti si riempiono rapidamente e così è risorto dalle ceneri un altro triangolo, quello dimenticato di Weimar, tra Germania, Francia e Polonia, nato nel 1991 e tornato sulla scena con l’aggressione russa all’Ucraina, per rafforzare la collaborazione nel settore della difesa, con una coda recente, nello scorso dicembre a Berlino, dei Ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito. Non si tratta ancora di un’alleanza, ma è già una ricerca di intesa sulla sicurezza e difesa nei tempi turbolenti che viviamo, con il ritorno dei britannici a un tavolo e la buona notizia della ricomparsa dell’Italia.
Fa sperare che a Roma, prima o poi, qualcuno capisca a quale tavolo sedersi per rifondare l’Unione Europea.