Una fragile tregua per la Libia

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L’attesa Conferenza di Berlino del 19 gennaio scorso si è conclusa con la fragile prospettiva di una tregua nel conflitto in Libia e con l’adozione di una dichiarazione comune sottoscritta dai numerosi partecipanti e principali attori coinvolti sia a livello regionale che internazionale. Erano infatti presenti le delegazioni di undici Paesi, oltre a quelle delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, della Lega araba e dell’Unione Africana.  

Si è trattato di una prima imponente partecipazione della comunità internazionale volta a definire i contenuti di un futuro accordo per una soluzione politica della guerra civile in corso e a riprendere il filo di un più vigoroso tentativo diplomatico rimasto in sospeso fin dal novembre 2018 in occasione del Vertice di Palermo. 

E’ stata infatti l’offensiva del Generale Haftar, signore della guerra cirenaico,  iniziata nell’aprile del 2019 e pericolosamente avviata in queste ultime settimane verso la conquista di Tripoli e di tutta la Libia, a mettere in allarme quella comunità internazionale schierata, a seconda degli interessi particolari e nazionali, dalla parte del Generale o dalla parte di Faiez al Sarraj, Capo del Governo di unità nazionale, riconosciuto dall’ONU. Un allarme che segna tuttavia anche il ritardo con il quale la comunità internazionale e, in particolare i Paesi dell’Unione Europea più vicini alla Libia, hanno reagito alla guerra e alle conquiste del Generale Haftar, ormai giunto a controllare il 90% del territorio e gran parte dei pozzi petroliferi.

Attori internazionali di  considerevole peso in questo conflitto si sono rivelati essere la Russia, con il suo discreto sostegno al Generale Haftar e la Turchia, molto più chiaramente impegnata a fianco di al Sarraj.  Sebbene i due Paesi siano stati, su fronti opposti, già promotori di un’iniziativa di cessate il fuoco entrato in vigore il 12 gennaio scorso, rappresentavano tuttavia anche la divisione della stessa comunità internazionale che doveva riunirsi a Berlino, di fronte alla quale si erano posizionati non solo vari Paesi della Regione, ma anche, e con una certa ambiguità, anche Paesi della stessa Unione Europea, come Francia e Italia. Una tale situazione non poteva che rendere estremamente difficile la tenuta della Conferenza di pace, con il rischio di riprodurre ed esasperare a livello internazionale quelle divisioni interne che alimentano oggi il conflitto libico e di dover far fronte ad una escalation militare volta ad alzare il prezzo di eventuali esigenze negoziali.

La Conferenza di Berlino, fra lo scetticismo generale sembra invece essersi conclusa con uno spiraglio di speranza. La dichiarazione finale, messa a punto dall’ONU e sottoscritta da tutti i partecipanti contiene quattro punti essenziali: il consolidamento del cessate il fuoco e il costante monitoraggio della sua attuazione; l’istituzione di controlli e di sanzioni per il rispetto dell’embargo sulle armi come previsto dalle risoluzioni dell’ONU; l’impegno di tutti i Paesi a non interferire negli affari interni libici, che dovrebbe comportare il ritiro di tutti i combattenti stranieri in Libia ; la definizione di un percorso che dovrebbe portare ad una soluzione politica e a un Governo di unità nel Paese.

Non sarebbe un risultato da poco se si considerano gli sforzi e i cambiamenti di rotta necessari per rispettare e attuare gli impegni politici presi a Berlino non solo dai diretti interessati, ma dall’insieme della comunità internazionale. Vale la pena ricordare qui le parole della Cancelliera Merkel: “Oggi a Berlino non abbiamo risolto tutti i problemi, ma abbiamo creato lo spirito, la base per poter procedere sul percorso indicato dall’ONU. Non mi faccio illusioni, la strada è ancora difficile, ma il vertice si è svolto in un clima costruttivo”. Un augurio e una speranza da condividere per la stabilità della Libia e dell’intero Medio Oriente.

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