Un primo semestre 2009 difficile per l’UE

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Fino all’ultimo giorno del 2008 l’Unione europea è stata confrontata a situazioni difficili, affrontate con costante determinazione dall’uscente presidenza francese che lascia il timone alla Repubblica Ceca, aprendo una transizione particolarmente delicata. Apprezzabile negli ultimi giorni dell’anno l’iniziativa del presidente Nicolas Sarkozy di promuovere una tregua, magari solo umanitaria e provvisoria, nei violenti scontri che oppongono Israele e Hamas nella regione di Gaza.
Con la riunione d’urgenza del 30 dicembre l’UE ha dato la prova di esistere e di avere consapevolezza delle proprie responsabilità   nelle vicende di quell’area calda: responsabilità   per il passato al momento della creazione dello Stato di Israele (e qui il Regno Unito dovrebbe riflettere) e responsabilità   presenti per la sua collocazione nell’area mediterranea e medio-orientale, soprattutto in questo delicato periodo di lungo «interregno» USA, nell’attesa che Obama possa esercitare appieno le sue responsabilità  .
Meno apprezzabile che alla riunione di Parigi l’Italia, amica di tutti e decisiva per nessuno, si sia defilata con il pretesto che non si trattava di una riunione «operativa», come se non fossero operative le pressioni diplomatiche e politiche senza interventi militari.
Così finisce male questo 2008 e lascia presagire un primo semestre 2009 sicuramente non roseo: la guida dell’UE passa ad uno dei Paesi, la Repubblica Ceca, tra i meno coinvolti attivamente nella costruzione europea, con un presidente, Vaclav Klaus, che fa pubblica professione di euroscetticismo e si propone come «un dissidente dell’Unione europea» opponendosi al Trattato di Lisbona e al «dogma ingannatore» del surriscaldamento del pianeta. Fortuna che la Costituzione ceca affida il compito di guidare il prossimo semestre europeo al governo e quindi al suo primo ministro, Mirek Topolanek, che si professa «eurorealista» e più aperto verso il processo di integrazione europea. Fortuna ancora più grande che molti dei principali Paesi UE, quelli dell’euro e qualcun altro, hanno serrato i ranghi in questi ultimi mesi di fronte alla crisi finanziaria ed economica che ha investito l’Europa.
Di buon auspicio l’ingresso nell’euro il 1° gennaio di un sedicesimo Paese, la Slovacchia, mentre si attendono le decisioni degli altri undici Paesi rimasti alla finestra per motivi diversi. Dal Regno Unito, che sta lasciando filare la sterlina verso la parità   con l’euro per avvantaggiare le sue esportazioni, a Svezia e Danimarca che in questo tempo di crisi si stanno interrogando sul da farsi, fino ai Paesi ex-comunisti alle prese con situazioni economiche, come in Ungheria e nei Paesi baltici, che consigliano di attendere o altri, come Polonia e Repubblica Ceca, che si mostrano recalcitranti a compiere nuovi passi verso l’integrazione.
àˆ probabile che ci pensi la crisi in corso a chiarire le idee a chi è fuori, in particolare dopo la bancarotta dell’Islanda, priva di uno scudo monetario in grado di proteggerla.
Perchà© alla fine sarà   la crisi economica il perno attorno al quale si muoveranno le dinamiche politiche dell’Unione anche in vista degli appuntamenti internazionali del G20 negli USA di Obama e del residuale G8 sotto presidenza italiana.
Sul tema della risposta alla crisi si misureranno gli Stati membri UE in auspicabile coordinamento tra di loro e c’è da sperare che questa sia anche l’occasione per dare contenuto europeo alla competizione elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo che si compirà   il 7 giugno prossimo.
Per l’Unione europea il 2009 sarà   un anno di cambiamenti istituzionali: oltre al Parlamento, dovrà   essere rinnovata anche la Commissione europea e il facente funzione di ministro degli Esteri UE, oggi Xavier Solana, figura che si spera acquisterà   un più forte rilievo nel mondo turbolento in cui sarà   chiamato ad intervenire.
In questo contesto, non a caso è stato rinviato il chiarimento per sbloccare la ratifica del Trattato di Lisbona, appesa all’esito di un secondo referendum irlandese nell’autunno prossimo.
Di qui ad allora l’UE, grazie o malgrado la presidenza ceca, dovrà   rafforzare la propria coesione e resistere alla tentazione di un ritorno a forme suicide di protezionismo interno che sembrano tentare più di un Paese membro. Nella recessione in corso nessuno si salverà   da solo: vale per l’Italia, per l’Europa e anche per gli USA. Non dovremo aspettare molto per capire se saggezza e coraggio saranno le virtù dei governanti o se invece prevarranno antiche furbizie nazionali e appelli a fare come se niente fosse e a consumare allegramente come in passato.
Il conto sarà   presentato presto a tutti: meglio poterlo pagare insieme che da soli.

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