UE e energia: avanti piano in ordine sparso

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Nessuno, nei Palazzi di Bruxelles, confesserà mai che, il 20 e 21 ottobre scorso, al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo sono volati gli stracci: solo una registrazione clandestina, come avviene in Italia, potrebbe raccontarlo.

E’ comprensibile che Mario Draghi, all’uscita dal suo ultimo Consiglio europeo, abbia avuto parole rassicuranti, se non proprio sul molto non ancora deciso almeno sull’attesa di nuove proposte che la Commissione europea dovrà mettere sul tavolo in vista di una decisione sul contenimento del prezzo del gas da tempo definita “urgente”.

Il tema al centro della contesa era naturalmente la crisi energetica e la condivisione di misure europee, ma non va dimenticato il contesto politico che agitava il confronto, in particolare tra i tre principali Paesi dell’Unione: Germania, Francia e Italia, con i primi due in tensione tra di loro e l’Italia alla vigilia di una svolta politica ancora difficile da comprendere.

E’ da un po’ di tempo che il motore franco-tedesco perde colpi e rischia di ingolfarsi. Ne sono all’origine divergenze non solo in materia di energia, ma anche di politica della difesa e fiscale dopo la decisione del Cancelliere tedesco, prima di iniettare 100 miliardi di euro nella spesa militare e poi altri 200 miliardi per il sostegno all’economia e per venire in soccorso al potere d’acquisto delle famiglie.

Entrambe queste decisioni non sono piaciute troppo al di qua del Reno, ad una Francia che intravvedeva una sua perdita di ruolo sul versante militare, nonostante la sua capacità nucleare, e non poteva – come non poteva l’Italia – seguire la Germania nel suo sforzo economico, consentitole da una migliore situazione delle sue finanze pubbliche.

Quanto a Draghi, lasciando da parte l’incremento di spesa militare, l’obiettivo principale era di raffreddare il mercato dell’energia, fissando un tetto europeo al prezzo del gas, ma anche di arginare l’intervento economico tedesco accusato di provocare distorsioni della concorrenza sul mercato unico.

Sembra che verso entrambi gli interlocutori, tra loro in buona parte d’accordo, il Cancelliere Olaf Scholz abbia, insieme con il collega olandese, continuato a rispondere picche, ricordando l’autonomia delle decisioni nazionali e il contributo di Berlino al bilancio comunitario nella misura del 26% della dotazione globale. Un altro modo per raffreddare le speranze di chi aveva per un momento creduto di intravvedere una disponibilità della Germania a consentire la creazione di un nuovo debito comune per un Piano europeo di risposta alla crisi energetica, come era avvenuto in occasione della pandemia.

In questo triangolo scaleno, con l’Italia posizionata sul lato corto, anche a causa del suo debito pubblico, e la Francia su quello economico non molto più lungo, la frenata della Germania e soci ha avuto buon gioco a prevalere.

Si aggiunga a questo la fragilità politica presente tanto in Francia che in Italia. Da una parte il presidente Macron, protetto da un sistema istituzionale “presidenziale” blindato, ma debole nel Parlamento; dall’altra l’Italia il cui futuro governo è guardato con una diffusa preoccupazione, se non di allarme, da parte di molti partner europei – Ungheria esclusa – che temono possa traballare un’intesa europea in una stagione che richiederebbe la massima coesione. I primi passi del nuovo governo italiano saranno seguiti molto da vicino e non si tratterà di ingerenza: ogni decisione “nazionale” non potrà non avere un impatto europeo. Per questa ragione dovrebbero essere contenti e orgogliosi i “patrioti della Nazione” se i nostri concittadini europei dedicheranno al nostro Paese tutta l’attenzione che meritiamo.

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