Troppo poco e troppo tardi per il clima a Glasgow?

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Non sono bastate due settimane di confronti e lunghe notti dedicate a cercare un compromesso soddisfacente tra gli interessi divergenti degli Stati sul fronte caldo della salvaguardia del pianeta. Già si era capito dalle conclusioni del G20 a Roma che l’audacia non era all’ordine del giorno tra i Capi di Stato e di governo. A Glasgow si sono aggiunte altre comprensibili divergenze portate al tavolo dai Paesi più in difficoltà, contrari a rinunciare allo sviluppo delle loro economie dopo che quelle dei Paesi ricchi si erano allegramente servite dell’inquinamento atmosferico per quello che ritenevano il loro benessere, senza farsi carico di quello degli altri.

La transizione climatica era al centro del confronto, un tema diversamente interpretato dalla politica e dai movimenti della società civile, molto delusi dai risultati raggiunti, a cominciare dalle scadenze. Alcune di queste sono rimaste indefinite o troppo approssimative, altre troppo lontane a prova che per alcuni transizione rischia di tradursi nella pratica cara alla politica del rinvio; per molti questa doveva essere l’occasione per una accelerazione, imposta dall’urgenza della situazione. 

Transizione vuol dire infatti avviarsi verso soglie compatibili di riscaldamento climatico, obiettivi da condividere per ottenere risultati soddisfacenti, in grado di mettere al sicuro il pianeta.

L’aumento della temperatura contenuto a 1,5% rispetto ai livelli preindustriali resta la soglia di guardia, al di sopra della quale si annunciano danni irreversibili per il pianeta e eventi drammatici per milioni di persone costrette a cercare terre dove poter sopravvivere, senza contare che già quella soglia potrebbe registrare danni gravi. 

Una convergenza si è anche disegnata in favore di un azzeramento delle emissioni di anidride carbonica all’orizzonte 2050, una data per la quale però Paesi importanti inquinatori, come Cina, Russia e India, non hanno preso un impegno preciso. Un passo avanti da segnalare è stato l’orientamento condiviso di accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili, ma anche qui non è indicata una scadenza. Come non è chiarito l’impegno a mantenere la promessa di 100 miliardi di dollari per i Paesi in difficoltà.

Alla fine sono stati pochi i progressi rispetto agli accordi di Parigi del 2015: altri anni sono così  passati inutilmente, mentre gli scienziati alzavano i livelli di allarme e il pianeta dava chiari segni di degrado, anche con la moltiplicazione di fenomeni climatici estremi che abbiamo cominciato a conoscere in qualche misura anche dalle nostre parti.

Difficile a questo punto una valutazione globalmente positiva dell’incontro di Glasgow. Sicuramente positiva la mobilitazione della società civile, in particolare nella sua componente giovanile  che meglio di altri sente che questo “presente”, fatto di poco coraggio e troppi rinvii, sta ipotecando gravemente un “futuro” che incombe pericolosamente sul pianeta. In questo quadro è da apprezzare l’insistenza dell’Unione Europea per maggiori ambizioni, come ancora sollecitato in extremis dal vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans.

Attorno al tema della transizione climatica si sono mossi interessi economici divergenti, come nel caso del ricorso all’energia nucleare, che in Europa vede la Francia favorevole contro la  Germania contraria, mente l’Italia si sta interrogando in attesa che l’Unione Europea definisca quali sono le energie da considerare come pulite, non solo nell’immediato ma anche in considerazione delle loro ricadute future.

Potrebbe essere di buon augurio la ripresa del dialogo tra i due giganti economici, Stati Uniti e Cina, che chiama in causa aspetti diversi, dal clima agli scambi commerciali fino ai temi della sicurezza, mina vagante nelle acque del Pacifico dove si giocheranno enormi interessi per il futuro dell’economia e della politica mondiale.

Da questo punto di vista l’incontro di Glasgow è stato un test importante per il futuro dell’umanità: diranno le decisioni pratiche che troveranno esecuzione se il test abbia annunciato giorni migliori o confermato il timore di un’apocalisse futura. 

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