Tra dire e fare c’è di mezzo l’Unione Europea

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“Verba volant, scripta manent”: tradurre dal latino questo proverbio con “Le parole volano, gli scritti rimangono” è facile, molto più difficile adottarlo come criterio per valutare la serietà della politica, in particolare quando questa eccede in propaganda.

Partiamo allora da quanto scritto a proposito di migranti nelle conclusioni del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo UE del 24 marzo scorso che, dopo aver ricordato i progressi compiuti dopo gli orientamenti adottati dal Consiglio europeo del febbraio scorso, ripete che “le migrazioni sono una sfida europea che esige una risposta europea”, auspicando una messa in opera rapida dei punti concordati da verificare il prossimo giugno.

Questa sommaria dichiarazione di poche righe si colloca al 24° paragrafo dei 27 che illustrano le conclusioni del Consiglio, dove occupano quasi l’intero spazio spazio i temi dell’Ucraina, le politiche economiche, l’energia e le relazioni esterne. A complemento di questi numeri, dicono le cronache, che al tema “migrazioni” è stata dedicata una mezz’ora circa con una decina di interventi, necessariamente non molto approfonditi, sembra di capire.

Tutto questo considerato, suona eccessiva la soddisfazione dichiarata dalla presidente del Consiglio italiano sul nodo migranti che, anche commentatori comprensivi, si guardano dal condividere, prevalendo la constatazione che il tema è ben lontano purtroppo dall’acquisire centralità, come meriterebbe nel dibattito e nelle decisioni europee.

Va però anche detto che l’occasione per affrontare il tema non era proprio propizia visto, da una parte, l’aggravarsi della crisi internazionale dopo l’incontro a Mosca di Putin con Xi Jinping e, dall’altra, le turbolenze bancarie che dopo gli USA e la Svizzera irrompevano  direttamente nell’UE con lo scossone della Deutsche Bank e il tentativo di rassicurare i risparmiatori da parte di Christine Lagarde. presidente della Banca centrale europea. 

E non aiutava l’Italia nemmeno il richiamo del presidente dell’Eurogruppo a ratificare in tempi rapidi il Meccanismo di stabilità europea (MES), uno strumento destinato ad affrontare il rischio di una crisi bancaria sistemica nell’eurozona né le preoccupazioni di Bruxelles sullo stato di avanzamento del nostro “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), in ritardo sia sul versante dell’esecuzione degli straordinari investimenti resi disponibili dall’UE per l’Italia né su quello delle riforme, come il caso che si sta trascinando da troppo tempo della revisione delle concessioni balneari.

Al di là della cronaca e della propaganda politica, sarebbe il caso di avere chiaro davanti agli occhi il groviglio di problemi che sono sul tavolo di Bruxelles e che tracimano inevitabilmente su quello del governo italiano. Già solo riassumerne alcuni elementi fondamentali racconta di intrecci ad alto potenziale esplosivo: dalla nostra linea politica di solidarietà con l’Ucraina, esposta a pressioni interne ed esterne, ai negoziati in vista per la revisione del “Patto di stabilità e crescita” che, adottato nel lontano 1997 e debolmente aggiornato nel decennio scorso, dovrà regolare le soglie di sostenibilità del deficit e del debito consolidato dei Paesi dell’eurozona a partire dal prossimo gennaio. 

Qui l’Italia, con il suo debito fuori misura, rischia di avere molto da perdere, ma anche qualcosa da guadagnare se riuscirà credibile agli occhi dei partner e se onorerà a tempo gli impegni già sottoscritti, come nel caso del MES, per il quale manca la sola ratifica italiana con la conseguenza di bloccare tutti gli altri Paesi, senza per questo contribuire a fare avanzare l’Unione bancaria né a ottenere maggiore flessibilità per il nostro PNRR, la cui esecuzione nei tempi previsti è di gran lunga più importante del vagheggiato Ponte sullo stretto.

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